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In this photo released by the official website of the office of the Iranian supreme leader, Supreme Leader Ayatollah Ali Khamenei speaks to a group of people and officials in Tehran, Iran, Friday, March 21, 2025. (Office of the Iranian Supreme Leader via AP)
Cos’altro mai avrebbe potuto celebrare Alì Khamanei se non la «grande vittoria» contro «il regime sionista e i suoi alleati americani?». La Guida suprema dell’Iran esce dal bunker in cui è rimasto rintanato per quasi due settimane e torna a parlare alla nazione con toni trionfali congratulandosi le sue forze armate. Parole che sembrano uscite da un universo parallelo in cui Usa e Israele si sono dovute piegare alla formidabile macchina da guerra di Teheran, in cui i capi militari della repubblica islamica non sono mai stati uccisi dai raid di Tel Aviv, gli impianti di arricchimento dell’uranio non sono mai stati bombardati mentre le città dello Stato ebraico avrebbero subito immani devastazioni.
Nella narrazione del vecchio leader, Donald Trump sarebbe intervenuto direttamente nel conflitto per timore che la sua neutralità decretasse la distruzione di Israele dopo i lanci di missili iraniani che sì, hanno colpito alcuni quartieri a Tel Aviv e Haifa in particolare, ma con effetti limitati sulla popolazione civile. Mentre l’attacco alle basi dell’Us army, oltre a essere stato annunciato con grande anticipo, non ha provocato alcun danno. Un’offensiva talmente spuntata e poco credibile che, come ha fatto sapere il generale Dan Caine, capo degli Stati Maggiori Riuniti americani, al momento dell’attacco iraniano all’interno del compound Usa in Qatar erano presenti meno di quaranta marine.
Per quanto riguarda i danni causati agli impianti nucleari Caine ha fornito dettagli tecnici sul bombardamento del sito di Fordow: «Tutte e sei le armi dirette a ciascun condotto di ventilazione hanno colpito esattamente dove dovevano». Infine Caine ha descritto l’operazione, denominata Midnight Hammer, come «il culmine di 15 anni di lavoro straordinario», sottolineando la meticolosità nella pianificazione degli armamenti utilizzati: «Le armi sono state pianificate, progettate e impiegate per garantire che producessero gli effetti desiderati nello spazio della missione».
Non si può dire lo stesso della risposta iraniana: come riferisce al Jazeera (di certo non un media embeded israeliano) in dodici giorni di guerra gli attacchi arei dell’Idf anno ucciso oltre 600 persone i provocando ingenti danni a infrastrutture e palazzi governativi e l’esodo temporaneo di oltre un milione di abitanti nella capitale Teheran. Negare una realtà sconveniente affermando il suo contrario è d’altra una delle regole auree della propaganda, in Iran come in Occidente, e la Guida non fa eccezione. Anzi è nel suo elemento naturale.
Khamenei ha inoltre lanciato minacciosi avvertimenti agli Stati Uniti e a Israele: in caso di un nuovo attacco da parte americana, ha detto, l’Iran è pronto a colpire nuovamente le basi militari statunitensi disseminate nella regione. «La Repubblica islamica ha accesso a numerose basi americane in Medio Oriente e può agire contro di esse ogni volta che lo riterrà necessario. Se un’aggressione dovesse ripetersi, il costo per il nemico sarà molto alto».
Intanto il ministro della Difesa Israel Katz ha rivelato (ma è un segreto di Pulcinella) in un’intervista a Channel 13 che Israele aveva intenzione di eliminare Khamenei per innescare un cambio di regime, ma l’occasione non si è mai presentata. «Se fosse stato nel nostro mirino, lo avremmo eliminato», ha detto Katz, aggiungendo: «Volevamo uccidere Khamenei, ma non c’era alcuna opportunità operativa». Alla domanda se Israele avesse chiesto l’approvazione americana per un’azione del genere, Katz ha risposto: «Non abbiamo certo bisogno di chiedere permesso per realizzare queste operazioni».
È molto probabile che lo spirito gaio e trionfante con cui ieri Khamenei si è rivolto ai suoi segua nasca anche dalla consapevolezza di aver salvato la pelle ancora una volta.