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Anas Al-Sharif, morto a 28 anni in un raid israeliano a Gaza, era uno dei giornalisti di punta di Al-Jazeera nella Striscia. Nato nel campo profughi di Jabalia nel 1996 si era laureato in comunicazione di massa presso l’Università di Al-Aqsa, specializzandosi in radio e televisione.
Aveva iniziato la sua carriera facendo volontariato presso Al-Shamal Media Network prima di unirsi ad Al-Jazeera come corrispondente dal nord di Gaza. Secondo Israele, che ha rivendicato l’operazione, l’uomo “si faceva passare come giornalista” ma in realtà era a “capo di una cellula terroristica di Hamas”. “Informazioni e documenti provenienti da Gaza, tra cui elenchi, registri di addestramento dei terroristi e buste paga, dimostrano che era un operativo di Hamas. Un tesserino stampa non è uno scudo per il terrorismo”, scrive l’Idf. Una narrazione che l'emittente televisiva ha smentito totalmente condannando l’omicidio come un “assassinio premeditato” inteso a “mettere a tacere le voci in previsione dell’occupazione di Gaza”.
Con lui sono morti i colleghi Mohammed Qreiqeh, Ibrahim Zaher, Mohammed Noufal e Moamen Aliwa, in quello che la direzione dell’ospedale al Shifa a Gaza ha definito un "attacco mirato" contro una tenda adibita alla stampa posta all'esterno del nosocomio. Il giornalista era noto per i suoi reportage sui bombardamenti israeliani e in seguito sulla fame che attanagliava gran parte della popolazione del territorio. In una trasmissione di luglio al-Sharif aveva pianto mentre la donna ripresa alle su spalle crollava per la fame. “Sto pensando alla morte lenta di quelle persone”, disse all’epoca.
Il reporter sapeva di essere nel mirino delle forze armate israeliane tanto da aver lasciato un testamento su X datato 6 aprile 2025. “Se queste mie parole vi giungono, sappiate che Israele è riuscito a uccidermi e a mettere a tacere la mia voce. Ho vissuto il dolore in ogni suo dettaglio e ho assaporato la perdita più e più volte. Eppure, non ho mai esitato un solo giorno a trasmettere la verità così com'è, senza distorsioni o falsificazioni”, aveva scritto. “Vi affido la Palestina, il gioiello della corona dei musulmani, il cuore pulsante di ogni persona libera in questo mondo. Vi affido il suo popolo, i suoi bambini oppressi a cui non è stata data la possibilità di sognare o di vivere in sicurezza e pace, i cui corpi puri sono stati schiacciati da migliaia di tonnellate di bombe e missili israeliani, fatti a pezzi, i cui resti sono stati sparsi sui muri”, aveva aggiunto ancora. L'uomo lascia la moglie e due figli, Sham e Salah. “Se muoio, muoio saldo nei miei principi, testimoniando davanti ad Allah che sono contento della Sua volontà, fedele nell'incontrarlo e certo che ciò che è presso Allah è migliore ed eterno”, aveva concluso nel suo testamento Al Sharif.
Intanto, il governo del Regno Unito ha chiesto un’indagine indipendente sull'uccisione dei reporter. E l’agenzia delle Nazioni Unite per i diritti umani condanna l’uccisione mirata di sei giornalisti da parte di Israele a Gaza, definendola una “grave violazione del diritto internazionale umanitario”. L'Onu ha ricordato che dal 7 ottobre 2023 sono stati uccisi almeno 242 giornalisti palestinesi nella Striscia e ha ribadito che “Israele deve rispettare e proteggere tutti i civili, compresi i giornalisti”.