Joseph è rimasto bambino per sempre. Per sempre avrà sei mesi, per sempre scivolerà dal collo di sua madre, al quale era aggrappato da ore, da giorni, nell'acqua di un mare che avrebbe dovuto salvarlo. Per sempre, nello spazio infinito e pericoloso che tiene separate una crosta di terra dall'altra, riecheggeranno le urla disperate di una donna che cercava la vita e poi il suo bambino, avvolto dall'abbraccio nero del Mediterraneo. Tirato su da quel gelido abisso col cuore ormai fermo. «Wheres my baby, I loose my baby», grida disperata Joanna, che appena salvata, a 20 anni, è per sempre sommersa. Dov'è il mio bambino, ho perso il mio bambino. Un urlo di dolore intrappolato in un video che dura solo 27 secondi, ma che basta per scavare l'ennesimo abisso nelle coscienze di chi guarda. Quel video è stato girato come monito da chi ogni giorno, nonostante la cieca burocrazia e le rigide regole imposte a tavolino, si butta in quelle acque per tirarne fuori l'umanità che vi si riversa alla ricerca disperata di un futuro. Uno qualsiasi. Da chi, ogni giorno, vede un pubblico tranquillamente accomodato per la critica spicciola barattare la solidarietà con l'utilità, l'empatia con l'indifferenza, fino ad inchiodare ad una croce chi ha deciso di guardare dritta negli occhi la disperazione.   https://www.youtube.com/watch?v=SJU35FY_77U&feature=youtu.be   I latrati pieni di odio non sono mancati nemmeno stavolta. Anche di fronte ad una madre che urla. Anche di fronte ad un bambino di soli sei mesi, arrivato sulla terra senza più vita in corpo e poi avvolto in una coperta termica per il suo ultimo viaggio. Pensavamo, forse, che sarebbe bastato il corpo del piccolo Alan Kurdi a tormentare i sogni di chi qualcosa avrebbe il dovere di farla. E invece non è bastato, né a loro né a noi. «La memoria umana è uno strumento meraviglioso ma fallace», diceva Primo Levi. E vale anche adesso. Quei corpi hanno smesso di essere persone, sono diventati soltanto simulacri di un dolore che piano piano è diventato meno potente, fino a trasformarsi in rifiuto. Fino a trasformare in oggetti, e nulla più, quelli che arrivano vivi, se vivi si possono definire dopo aver attraversato l'inferno.