PHOTO
BENJAMIN NETANYAHU PRIMO MINISTRO ISRAELIANO
La situazione catastrofica sulla Striscia di Gaza, dove ormai la popolazione è senza cibo e aiuti umanitari, ha indotto quattordici professori universitari israeliani a scrivere al capo di Stato maggiore della difesa, Eyal Zamir.
Nel parere di sei pagine che il Dubbio ha potuto leggere, i firmatari, tra i quali David Kretzmer, costituzionalista della Hebrew University di Gerusalemme, hanno ricordato alcuni orientamenti della magistratura dello Stato di Israele con al centro l’obbligo di consentire l’ingresso degli aiuti umanitari a Gaza. La popolazione sta morendo di fame e non si può più assistere a questo disastro «incompatibile con gli obblighi dello Stato di Israele ai sensi del diritto internazionale umanitario». Oltre a David Kretzmer, hanno firmato il documento Eyal Benvenisti, Orna Ben-Naftali, Iris Canor, Natalie Davidson, Aeyal Gross, Guy Harpaz, Eliav Lieblich, Doreen Lustig, Tamar Megiddo, Michal Saliternik, Yuval Shany, Yael Ronen e Limor Yehuda.
Il governo israeliano ha deciso il 2 marzo di bloccare l'ingresso degli aiuti umanitari nella Striscia di Gaza. L'ufficio del primo ministro Benjamin Netanyahu ha spiegato che si è trattato di una decisione con lo scopo di fare pressione su Hamas, affinché rilasciasse gli ostaggi del 7 ottobre 2023. Il 18 marzo il governo ha deciso di non avviare i negoziati per la cosiddetta “fase B” dell’accordo di rilascio degli ostaggi e di riprendere i combattimenti. Una decisione deleteria tanto per la popolazione di Gaza quanto per gli ostaggi israeliani e le famiglie che chiedono il loro ritorno a casa.
Il 27 marzo la Corte suprema ha emesso la sentenza sul caso HCJ 2280/24 Gisha contro il governo di Israele. Nel ricorso alla Corte veniva chiesto di ingiungere al governo di consentire l'ingresso di aiuti umanitari a Gaza. «Dalla sentenza della Corte – scrivono gli accademici - non si può dedurre che la decisione del governo di interrompere gli aiuti sia legittima». I professori richiamano le preoccupazioni espresse da diverse organizzazioni sulla mancata distribuzione di cibo e altri beni di prima necessità. Pochi giorni fa, il 2 maggio, il Comitato internazionale della Croce Rossa ha annunciato che gli aiuti umanitari nella Striscia di Gaza sono sull'orlo del “collasso totale”.
Il “paragrafo D” del parere, intitolato “L’obbligo legale di consentire e facilitare l’ingresso di aiuti umanitari”, fa riferimento alla posizione di Israele come parte del conflitto. «La portata dell’obbligo legale di Israele in merito alla fornitura di aiuti umanitari a Gaza – scrivono Kretzmer e gli altri accademici - dipende principalmente dal suo status nella Striscia (o in parti di essa). Mentre l’obbligo imposto a una parte in conflitto è quello di facilitare l'ingresso di aiuti umanitari da parte di terzi che cercano di fornire assistenza; l’obbligo di uno Stato occupante è quello di garantire che la popolazione del territorio occupato disponga di cibo e medicine. Se nel territorio occupato non ci sono cibo e medicine a sufficienza, lo Stato occupante deve fornirli nella misura delle sue capacità».
Può Israele essere definito uno “Stato occupante”? Su questo tema mancano una netta presa di posizione e una risposta affermativa. Ma una cosa è certa: gli aiuti umanitari devono arrivare ed essere distribuiti con o senza occupazione. «Vi è disaccordo – sostengono i giuristi - tra Israele e parti della comunità internazionale in merito al fatto che Israele detenga attualmente lo status di potenza occupante in alcune zone della Striscia di Gaza. Nella sentenza richiamata la Corte suprema ha stabilito che la risposta è negativa. Si può contestare la posizione della Corte su questo punto, ma ai fini della nostra posizione non è necessario risolvere la questione, poiché l'obbligo di consentire l'aiuto umanitario si applica sia in una situazione di occupazione che durante le ostilità in assenza di occupazione».
La fame come “arma di pressione” e “metodo di guerra” non può pertanto essere utilizzata: «È chiaro che lo scopo di bloccare l'ingresso di aiuti umanitari a Gaza è quello di causare carestia e fame nel territorio, poiché se la popolazione avesse cibo a sufficienza, bloccare gli aiuti non creerebbe alcuna pressione su Hamas. In altre parole, lo scopo di impedire gli aiuti è quello di generare pressione sulla controparte danneggiando i suoi civili».
Sull’obbligo di garantire il rilascio degli ostaggi viene rilevato il «dovere morale e legale dello Stato di Israele di riportare gli ostaggi dall’inferno» e si sostiene che è necessario ogni «passo consentito dal diritto internazionale che possa raggiungere questo obiettivo». «Non vi è dubbio – aggiungono gli accademici nel loro parere - che con il rapimento degli ostaggi, la loro scomparsa e la loro detenzione in condizioni disumane, i membri di Hamas stiano commettendo non solo crimini di guerra, ma anche crimini contro l’umanità. Tuttavia, i crimini di un’organizzazione terroristica non dovrebbero indurre uno Stato a scendere al livello di tale organizzazione, a violare il diritto internazionale e a danneggiare civili che non sono responsabili dei crimini dell'organizzazione terroristica».
I professori fanno una richiesta precisa al Capo di stato maggiore Zamir. «La decisione del governo di non consentire l’ingresso di aiuti umanitari a Gaza – concludono - è in contraddizione con il diritto internazionale. Viola l’obbligo di uno Stato coinvolto in un conflitto armato di consentire l’ingresso di aiuti umanitari nella zona delle ostilità e può essere considerata un metodo di guerra basato sulla fame. Invitiamo le autorità a revocare la decisione e a consentire il trasferimento di aiuti umanitari a Gaza».