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In this photo released by the Syrian official news agency SANA, smoke rises from an Israeli airstrike that hit the Syrian Defense Ministry in Damascus, Syria, Wednesday, July 16, 2025. (SANA via AP) Associated Press / LaPresse Only italy and spain
L’esercito israeliano ha colpito duramente la capitale siriana Damasco e la città drusa di Souweïda, nel sud del Paese. Un primo attacco ha distrutto una parte del quartier generale militare nei pressi del palazzo presidenziale, dove il neo capo di Stato Ahmad Al-Scharaah riceve i suoi ospiti.
Poco dopo, un secondo raid ha preso di mira la stessa area, trasmesso in diretta dalla tv siriana: nel video, diffuso dal ministro della Difesa Israel Katz, si vede una parte dell’edificio crollare sotto le esplosioni. «I colpi dolorosi sono iniziati», ha scritto Katz sui social, minacciando nuove operazioni se le forze siriane non si ritireranno dal sud del Paese, in particolare da Souweïda.
La città drusa è diventata epicentro di un conflitto interno che ha assunto ormai dimensioni regionali. L’agenzia ufficiale siriana Sana ha confermato che i droni israeliani hanno colpito Souweïda, dove le forze governative erano tornate il giorno prima ignorando gli avvertimenti di Tel Aviv. In mattinata, combattimenti tra le truppe siriane e i miliziani drusi locali avevano posto fine al fragile cessate il fuoco annunciato martedì sera.
I bombardamenti hanno ripreso a colpire la città e i villaggi circostanti già all’alba, con artiglieria pesante e colpi di mortaio. Secondo l’osservatorio siriano per i diritti umani (OSDH), il bilancio delle violenze nella regione è salito a oltre 300 morti da domenica: tra questi, almeno 69 combattenti drusi e 40 civili, di cui 27 giustiziati sommariamente dalle forze lealiste.
Le tensioni tra il governo di Ahmad Al-Charaah e la comunità drusa si sono aggravate da settimane. A innescare l’escalation è stato l’ingresso delle truppe siriane a Souweïda, ufficialmente per sedare scontri tra drusi e tribù beduine locali. Ma secondo più fonti, i soldati hanno preso le parti dei beduini, rivali storici dei drusi nella regione.
L’operazione militare ha così assunto un chiaro carattere politico: il nuovo governo siriano, sostenuto da Ankara, teme che la regione drusa diventi un centro autonomo, fuori dal suo controllo. Da tempo, parte della popolazione drusa rifiuta la leva obbligatoria e rivendica maggiore autonomia amministrativa e sulla sicurezza, senza però chiedere formalmente l’indipendenza. La città di Souweïda era rimasta relativamente tranquilla negli anni della guerra civile, ma sotto una fragile intesa non scritta che oggi, con il nuovo assetto del potere, sembra essere saltata.
La reazione israeliana si inserisce in questo quadro. Tel Aviv ha storicamente intrecciato rapporti molto buoni con la comunità drusa, e ora sembra voler assumere il ruolo di protettrice, ma ha anche un chiaro interesse strategico nel sostenere una comunità non legata ai suoi avversari nella regione, che si tratti della Turchia di Erdogan o dell’Iran.
Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha in tal senso lanciato un appello affinché i cittadini drusi israeliani (circa 150mila) non attraversino la frontiera per unirsi ai combattimenti. Nei giorni scorsi, decine di loro avevano cercato di varcare il confine nei pressi di Majdal Shams, tra lacrimogeni e filo spinato, per sostenere i loro compagni.
La comunità internazionale ha espresso crescente allarme. La Francia ha parlato di “viva preoccupazione” e ha chiesto l’immediata cessazione delle ostilità, invitando tutte le parti a tutelare i civili e promuovere la pace tra le varie componenti della società siriana, in particolare tra drusi e beduini.
L’Unione Europea si è detta “allarmata” e ha chiesto che venga rispettata la sovranità siriana, anche di fronte alla “moltiplicazione dei raid israeliani”. Gli Stati Uniti, tramite il segretario di Stato Marco Rubio e l’inviato speciale Tom Barrack, hanno fatto appello alla de-escalation. Il ministero degli Esteri turco ha invece accusato Israele di voler sabotare gli sforzi siriani per riportare stabilità, criticando i bombardamenti su Damasco e Souweïda. In questo quadro, la retorica del governo siriano appare sotto pressione. In un comunicato, la presidenza ha definito “vergognosi” gli episodi di violenza e ha promesso “un’indagine completa e la punizione dei responsabili”.
Ma secondo l’OSDH, molti degli abusi sono stati commessi proprio da forze regolari o da milizie alleate. È difficile capire se le promesse di Damasco servano a rassicurare l’opinione pubblica o a guadagnare tempo.
Sotto i colpi incrociati dell’aviazione israeliana e delle milizie siriane, la comunità drusa resta stretta nella morsa. Non cerca l’indipendenza, ma rivendica dignità, sicurezza e una distanza da un regime che ora appare più minaccioso che protettivo. E per la prima volta, le tensioni locali si sono trasformate in una questione strategica anche per Israele, che non intende assistere passivamente al collasso del fragile equilibrio nella regione.