Il vice ministro dell'istruzione iraniano, Younes Panahi, ha confermato che l'avvelenamento di alcune studentesse nella città religiosa di Qom è stato "intenzionale". Lo riporta Iran International. "Si è scoperto che alcune persone volevano che tutte le scuole, in particolare quelle femminili, fossero chiuse", ha detto. La notizia è stata confermata anche da Homayoun Sameh Najafabadi, membro della commissione sanitaria del parlamento iraniano.

Dalla fine di novembre, centinaia di casi di avvelenamento respiratorio sono stati segnalati tra le studentesse principalmente a Qom, a Sud di Teheran, con alcune di loro costrette al ricovero. Oggi, il il viceministro della Salute ha implicitamente confermato che gli avvelenamenti erano deliberati. 

Finora ci sono stati diversi arresti legati agli avvelenamenti. Il 14 febbraio, i genitori delle ragazze che si erano sentite male si erano riuniti fuori dal governatorato della città per "chiedere spiegazioni" alle autorità. Il giorno successivo il portavoce del governo, Ali Bahadori Jahromi, ha detto che i ministeri dell'Intelligence e dell'Istruzione stavano cercando di determinare la causa degli avvelenamenti. La scorsa settimana, il procuratore generale Mohammad Jafar Montazeri ha ordinato un'indagine giudiziaria su questi fatti.

Gli avvelenamenti arrivano mentre l'Iran è scosso dalle proteste dopo la morte di Mahsa Amini. “L'avvelenamento delle studentesse è la vendetta del regime terrorista della Repubblica islamica contro le coraggiose donne che hanno sfidato l'obbligo dell'hijab e scosso il muro di Berlino di Khamenei”, ha commentato su Twitter la nota attivista iraniana emigrata all'estero Masih Alinejad, “vogliono fermare la rivoluzione Donna, vita, libertà”.

Intanto la Ong iraniana con sede a Oslo, Iran Human Rights, denuncia la morte di un altro manifestante di 24 anni, Ebrahim Rigi, mentre si trovava sotto la custodia della polizia del 12 distretto di Zahedan. La Ong chiede alla missione delle Nazioni Unite di indagare su questo caso "e sugli altri crimini commessi" dalle forze dell'ordine contro i manifestanti. Rigi, 24 anni, era stato arrestato una prima volta il 13 ottobre per aver soccorso i feriti durante la repressione di Zahedan, nel cosiddetto "bloody friday", il 30 settembre. Rilasciato su cauzione lo scorso 1 gennaio, dopo il ritiro della richiesta di pena di morte, il 22 febbraio è stato nuovamente arrestato, "arbitrariamente" secondo l'Ong, e portato alla stazione di polizia: qui avrebbe subito un pestaggio che ne ha provocato il decesso, ma secondo le autorità, Rigi è morto "senza la presenza della polizia". Mohammad Saber Malek Raisi, attivista per i diritti umani baluci e membro di Hal Vash, ha dichiarato a Iran Human Rights: "Alle 14 del 24 febbraio, il corpo di Ebrahim Rigi è stato consegnato alla famiglia per la sepoltura. Sul suo corpo c'erano evidenti lividi e segni di ferite dovuti alle percosse ricevute alla stazione di polizia del 12 distretto".

In seguito alla richiesta della famiglia, è stato assicurato che l'Organizzazione Medica Forense procederà a un'autopsia e che entro 5 mesi i suoi parenti avranno informazioni su quanto accaduto. Proprio l'analogo caso di una giovane morta mentre si trovava in custodia, Mahsa Amini, aveva scatenato lo scorso settembre l'ondata di proteste contro il regime iraniano che dura ancora oggi.