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A member of Iran's Revolutionary Guard stands guard at Enqelab-e-Eslami (Islamic Revolution) square in downtown Tehran, Iran, Tuesday, June 24, 2025. (AP Photo/Vahid Salemi) Associated Press/LaPresse
Terminata la guerra iniziano le purghe. Le autorità iraniane hanno arrestato più di 700 persone nel corso, e a seguito, della guerra dei dodici giorni, per la maggior parte dissidenti politici. Oltre agli arresti, Teheran ha giustiziato per impiccagione tre cittadini iraniani accusati di condurre attività di spionaggio a favore d’Israele. Altre tre persone sono state impiccate dopo l’annuncio della tregua, sempre per presunti legami con il Mossad.
Nei primi giorni del conflitto il servizio segreto israeliano è riuscito a raggiungere diversi membri apicali dei Guardiani della rivoluzione e scienziati del programma nucleare iraniano, uccidendoli. La precisione dimostrata dal Mossad ha spaventato il regime dei Pasdaran, che ha quindi adottato misure repressive come l’oscuramento di internet, l’ordine alla popolazione di cancellare i social occidentali, blocchi stradali e perquisizioni, anche dei telefoni cellulari, e confisca di attrezzature sensibili.
Secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa Nour, le autorità hanno sequestrato più di 10mila droni solo a Teheran, probabilmente utilizzati per carpire informazioni su obiettivi sensibili, oltre ad aver smantellato diversi siti che sarebbero stati utilizzati per la fabbricazione dei suddetti droni. Condotte ufficialmente in contrasto all’attività d’intelligence israeliana le operazioni s’inseriscono nel contesto di una guerra interna non meno importante per il regime rispetto a quella appena conclusa.
La televisione di Stato iraniana ha mandato in onda quelle che sono state presentate come confessioni di alcuni degli arrestati, che avrebbero ammesso la loro collaborazione con i governo israeliano. Il ministero dell’Intelligence iraniano ha annunciato di aver intrapreso una battaglia senza sconti contro la agenzie di intelligence occidentali incluse il Mossad, la Cia e l’MI6. L’agenzia Fars News, secondo quanto riportato dalla Bbc, ha denunciato che, a partire dal 13 giugno primo giorno degli attacchi israeliani, «la rete di spionaggio israeliana è diventata molto attiva all’interno del paese», ragione per la quale il controspionaggio iraniano e le forze di sicurezza hanno «arrestato più di 700 persone connesse a questa rete».
Negli utlimi giorni del conflittto il Mossad aveva pubblicato su X un messaggio in farsi, nel quale invitava i cittadini iraniani a seguire un link sicuro, riportato in calce al post, per collaborare con il servizio segreto israeliano. Nel post si specificava di utilizzare servizi di vpn per evitare di essere tracciati e scovati dall’intelligence di Teheran. Il regime iraniano ha preso di mira anche giornalisti che lavorano in media in lingua persiana con sede all’estero.
Le Guardie della rivoluzione avrebbero arrestato la famiglia di una presentatrice dell’emittente Iran International, il cui padre, sotto costrizione, l’avrebbe chiamata chiedendole di abbandonare il suo incarico per evitare tragiche conseguenze. Dietro alla recente repressione non ci sarebbero però solo motivazioni d’intelligence. Il cambio di regime, invocato dal premier israeliano, Netanyahu, durante il conflitto e vagheggiato, prima di fare dietro front, da Trump, rappresenta un concreto timore per i Pasdaran. Gli arresti di massa sarebbero piuttosto finalizzati ad impedire la recrudescenza delle sollevazioni di piazza del 2022.
Molti degli arrestati infatti sarebbero dissidenti politici e appartenenti alle minoranze presenti nel paese, come i curdi. Le proteste seguite alla morte di Mahsa Amini, uccisa dalla polizia morale per non aver indossato correttamente il velo, si svolsero in tutta la nazione ma furono particolarmente partecipate nel Kurdistan iraniano, sia per il fatto che Amini era curda sia perchè la popolazione del Kurdistan è particolarmente attiva a livello politico. Oltre che nel Kurdistan, il regime ha aumentato la misure di sicurezza nel Belucistan, territorio al confine con Pakistan e Afghanistan, abitato da un’altra minoranza, i beluci, considerata una minaccia da Teheran. Il regime ha anche inviato diversi reparti dell’esercito a presidiare i varchi di frontiera per evitae eventuali infiltrazioni esterne.
Gli Stati Uniti avrebbero offerto aiuti per 30 miliardi di dollari, un alleggerimento delle sanzioni e lo scongelamento di fondi all’Iran per abbandonare il programma nucleare militare. Il dialogo tra Washington e Teheran non si è mai interrotto, né mentre Tel Aviv bombardava le città iraniane, nè quando gli stessi Stati Uniti hanno colpito i siti di Fordo, Natanza e Isfahan. Le trattative sarebbero state portate avanti dall’inviato speciale per il Medio Oriente, Witkoff, con la mediazione dei paesi del Golfo Persico.
La bozza presentata agli iraniani prevederebbe investimenti per 30 miliardi da destinare al programma nucleare civile di Teheran. Entrambe le parti pubblicamente ostentano di non essere interessate all’accordo, «non mi interessa se ci sarà un accordo o meno», ha detto recentemente Trump, mentre il ministro degli Esteri iraniano, Abbas Araghchi, ha dichiarato che «con la guerra e le vittime non è facile raggiungere un accordo come prima». Nonostante le dichiarazione di disinteresse è probabile che le trattative continuino sottotraccia per l’interesse di entrambi gli attori.