Cosenza perde uno dei suoi volti più autentici. Padre Fedele Bisceglia, conosciuto da tutti come il “frate ultrà”, è morto all’età di 87 anni. Nato a Laurignano il 6 novembre 1937, ordinato sacerdote nel 1964, fu superiore del Convento di Acri e segretario delle missioni estere in Africa. In quelle terre martoriate conobbe la povertà estrema e la piaga della lebbra, dedicando la sua vita agli ultimi e agli emarginati.

Appassionato tifoso del Cosenza Calcio, non mancava mai sugli spalti del vecchio San Vito, oggi “Marulla”. Dai gradoni della Curva Sud, con il suo celebre urlo “Maracanà”, portò con sé nelle missioni in Africa molti giovani tifosi, trasformando l’amore per la squadra in un ponte di solidarietà. A Cosenza fondò l’Oasi Francescana, diventata rifugio per chi viveva in difficoltà e punto di riferimento per la comunità.

Negli ultimi anni aveva affrontato seri problemi di salute, ma fino alla fine è rimasto nel cuore della città. A fine luglio le sue condizioni si erano aggravate, rendendo necessario un nuovo ricovero all’Inrca. L’Arcivescovo di Cosenza-Bisignano Giovanni Checchinato gli ha portato la benedizione poco prima della morte. Anche il sindaco Franz Caruso si era recato in ospedale per portargli l’abbraccio della comunità. Per sua volontà frate, le spoglie riposeranno nel cimitero di Dipignano, in un loculo semplice e anonimo, rinunciando alla cappella di famiglia.

La camera ardente accoglierà il mesto pellegrinaggio dei cosentini fino ai funerali, fissati per domani alle ore 10 nella Chiesa del SS Crocifisso della Riforma. Per l’occasione, il sindaco ha proclamato il lutto cittadino, ordinando l’esposizione delle bandiere a mezz’asta e invitando esercizi commerciali e organizzatori di eventi a sospendere iniziative in contrasto con il raccoglimento della cerimonia. «Con lui scompare un amico - ha dichiarato Franz Caruso - con cui ho condiviso, anche in tribunale, un’esperienza amara che gli procurò sofferenze profonde. Cosenza ti ricorderà per sempre».

Nel 2016, su proposta dell’allora sindaco Mario Occhiuto, padre Fedele aveva accettato l’incarico di assessore per il contrasto alle povertà, al disagio, alla miseria materiale e morale, alla discriminazione sociale e religiosa. «Nessuno deve trovarsi costretto a dormire per strada» era la missione che si era dato a Palazzo dei Bruzi, dove rimase fino alla revoca dell’incarico nel marzo 2017.

Il ricordo di Mario Occhiuto è legato a momenti di silenziosa vicinanza: «Anche nel momento più difficile della mia vita – ha raccontato – lo ricordo in disparte, all’altare, con la sua messa silenziosa. Ha dedicato tutta la vita agli ultimi, con un’umanità rara». Roberto Occhiuto, ex presidente della Regione, lo ha definito «uomo buono, missionario in Africa, simbolo di pace e fratellanza. Resterà per tutta la Calabria esempio di carità e vicinanza al prossimo».

La sua storia resta segnata da una lunga e dolorosa vicenda giudiziaria. Nel gennaio 2006 fu arrestato a seguito delle accuse di una suora siciliana, che lo accusava di ripetute violenze. Condannato in primo grado e in appello a nove anni di carcere, fu assolto in via definitiva dopo quasi dieci anni. Si è sempre detto vittima di un complotto per estrometterlo dall’Oasi Francescana e punirlo per le denunce sulla gestione dell’istituto “Papa Giovanni XXIII” di Aiello Calabro.

Tra il 2007 e il 2008 subì anche la sospensione “a divinis” e l’espulsione dall’ordine francescano, per comportamenti giudicati sopra le righe. Indisse conferenze stampa, organizzò vie crucis solitarie per le strade di Cosenza, portando sulle spalle una croce di legno costruita da un amico falegname, e distribuì volantini in cui proclamava a gran voce la propria innocenza. “Fino alla morte griderò con un boato da stadio: sono innocente. Mi hanno assassinato”, scriveva, accusando “religiosi che proclamano calunnia e non temono l’inferno”.

Nonostante ammonimenti e inviti ad allontanarsi dalla città, non volle mai abbandonare Cosenza. Continuò a frequentare lo stadio e a seguire il suo Cosenza, legando la sua tonaca alla sciarpa rossoblù. Difese fino all’ultimo il Paradiso dei Poveri, anche quando, durante un ricovero, vennero rubate le erbe aromatiche coltivate per la cucina della struttura.