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«Come fanno a far entrare questi qua, vengono pure senza biglietto...». A pronunciare la frase è un casellante sulla Messina- Palermo. Dall’altra parte del vetro, invece, c’è l'avvocato palermitano Alì Listì Maman, 35 anni, primo avvocato di colore iscritto all'Ordine forense di Palermo. Tutto accade il 6 maggio, mentre Maman si trova in auto con la moglie e il figlio. Un insulto razzista che, nella sua vita, non è certo una novità. L’avvocato ha già segnalato l’episodio al Consorzio autostrade siciliane, senza però ottenere risposta. «Ultimamente si è sdoganato un concetto: tutto si può dire rimanendo impuniti. È quasi istituzionalizzato, perché anche il linguaggio politico è così».
Intanto a Maman è arrivata la solidarietà del presidente del Cnf, Andrea Mascherin, a nome di tutto il Consiglio nazionale forense. «Ogni manifestazione fondata su una idea di diseguaglianza è un attacco alla democrazia che l’Avvocatura, per prima, è chiamata a difendere», ha scritto su Twitter.
Avvocato, cos’è accaduto a quel casello?
L’aspetto che principalmente mi ha toccato è il fatto di essere in presenza di mia moglie e mio figlio. E siccome ho visto il suo volto dopo quello che è successo non potevo esimermi dal denunciarlo. Essendomi trovato in difficoltà nel reperire il ticket per il pagamento, ho spiegato quello che era successo al casello d’uscita da Tusa, dopo aver chiamato il numero verde dedicato delle autostrade. In un primo istante il casellante ha calcolato la tratta, ma essendo sprovvisto di monete ho tirato fuori 50 euro. A quel punto quella persona, in un siciliano molto stretto, forse pensando di non essere compreso, ha detto: “come fanno a far entrare questi qua, vengono pure senza biglietto”. Non ho potuto neanche replicare, avrei voluto, ma ero con la mia famiglia. Fossi stato solo lo avrei anche fatto. Quell’uomo si è dimostrato indisposto nello stesso momento in cui mi ha visto.
Le era già successo?
Sì, in campagna elettorale, quando mi sono candidato con il M5s alle comunali e poi ho ritirato la mia candidatura, ma anche quando mi sono candidato alle regionali. Qualcuno sosteneva che avrei dovuto spendere il mio tempo a far politica nel mio paese. Ma ci sono state altre manifestazioni, più velate, durante la campagna elettorale nel 2017, quando su un sito della Lega qualcuno mi ha definito “immigrato candidato con il M5s”.
E in tribunale le è mai capitato?
Solo aneddoti simpatici: non essendoci molti avvocati provenienti dall’estero mi hanno spesso preso per l’imputato o per l’interprete. Ma per il resto, fortunatamente, non è mai successo nulla.
Perché accade, secondo lei?
Ultimamente si è sdoganato un concetto: tutto si può dire rimanendo impuniti. È quasi istituzionalizzato, perché anche il linguaggio politico è arrivato ad un livello tale che permette di dire qualunque cosa attaccando e screditando. Senza valutare che, comunque, quelle azioni hanno delle ripercussioni sulla società e sul sociale. La gente pensa: se lo può fare lui che è ad alti livelli perché non posso farlo io?
E come si risolve?
La politica deve prendersi la responsabilità di come veicola i messaggi, perché se non si fa attenzione a questo si genera la convinzione che è tutto concesso e che la violenza verbale può rimanere impunita.