C’è il piano giudiziario e c’è il piano politico: lo sanno tutti, lo dicono tutti. Solo che poi, nella democrazia malata che affligge l’Italia, ognuno interpreta il binomio a modo suo. Con il risultato che la confusione ed il disorientamento dei cittadini invece di diminuire, si allarga. Per capirci. Il piano giudiziario è quello delle indagini ed è ovviamente - a partire dai tempi, dalle modalità, dalla verifica della solidità dell’impianto accusatorio - totalmente in mano ai magistrati. Oddio, tanto ovviamente e così totalmente non proprio, vista la continua fuga di notizie e il tourbillon di veline più o meno avvelenate e comunque sempre interessate e parziali, che aiutano a creare polveroni e sfumare le responsabilità. Ma lasciamo perdere.

Il piano politico è quello delle conseguenze, anche ai fini della formazione di un giudizio da parte dell’opinione pubblica, che le indagini hanno sul comportamento di leader, partiti, movimenti e quant’altro. Ebbene guardando alle vicende delle indagini sulla Consip e sul coinvolgimento del ministro Lotti nonché del padre di Matteo Renzi, quel che si capisce è semplice: è partita la caccia al cinghialone, nello stile che da un quarto di secolo contraddistingue dalle nostre parti il crinale del rapporto tra politica e giustizia.

Inutile sorprendersi, è così da decenni ed anzi si assiste ad una perniciosa assuefazione sia da parte dei cittadini che dei vari attori in gioco. Ciò non toglie che ci siano fatti che è doveroso segnalare: almeno per far comprendere che il piano delle strumentalità è palese. Perché come diceva Enzo Biagi - e con la voluta porzione di provocatorietà - ciascuno è libero di esporre le proprie terga dal balcone, però produce irritazione voler far credere che si tratta di un vaso di gerani.

Tanto per dire, colpisce la disinvoltura con cui quotidiani che fino a ieri esaltavano le doti dell’ex premier nonché sindaco di Firenze, e lo collocavano nell’empireo dei solutori di problemi, abbiano cambiato orizzonte e pretendano “chiarimenti” da Matteo Renzi. Quali chiarimenti? Se è per convocare una conferenza stampa e ammettere di sapere che il papà trafficava con le “influenze” ( posto che qualcuno sia in grado di spiegare cosa siano penalmente), si tratta di una richiesta inverosimile. In quel caso, infatti, non davanti ai giornalisti bensì agli inquirenti Renzi dovrebbe andare. Vale anche il contrario: proclamare l’innocenza e totale trasparenza del genitore ribadendo fiducia e stima nei suoi confronti, è atto umanamente encomiabile ma non sposta nulla in termini politici o tantomeno giudiziari. Idem per Luca Lotti: se Renzi nutre dubbi sull’operato del suo fedelissimo, deve andare in Procura e non nei talk show.

Forse allora l’obiettivo dei tanti sollecitatori è invitare Renzi a impugnare l’ascia di guerra contro i magistrati e innescare l’ennesimo capitolo della guerriglia tra politi- ci e toghe. Sarebbe un epilogo devastante, ed inoltre accrescerebbe ulteriormente il bazooka della reciproca delegittimazione. Solo per sottolineare un particolare: i competitor di Matteo alla guida del Pd sono l’attuale Guardasigilli e un magistrato che peraltro è anche testimone della medesima inchiesta Consip. Qualunque fosse il loro atteggiamento dinanzi agli eventuali fendenti di Renzi, si ritroverebbero o in un corto circuito tra le loro funzioni istituzionali e il ruolo politico oppure ad essere accusati di usare armi improprie per ottenere i loro scopi. La verità è che quando la giustizia svolge il suo compito, la politica deve tacere e occuparsi del suo ambito, senza intromissioni. Che è quello che sta facendo Renzi. Così come i Pm quando indagano, se certamente non devono guardare in faccia a nessuno, altrettanto certamente devono evitare di salire sullo sgabello delle inchieste per sconfinare dal loro alveo o ricercare visibilità.

Poi però il piano politico riguarda anche altro. Per esempio aver contribuito a stabilire un nesso tra azione dei congiunti, spesso senza alcun risvolto giudiziario, e responsabilità politiche può diventare un boomerang. Nei casi di Anna Maria Cancellieri, ex ministro degli Interni, o di Maurizio Lupi, ex capogruppo di Ncd, bersagliati dalle critiche o costretti alle dimissioni per comportamenti dei loro figli, Renzi - in maniera più o meno vistosa e convinta - avallò la narrazione giustizialista. Immaginare che adesso il meccanismo non si ritorca contro, è quanto meno ingenuo. Più collateralmente ( ma non meno significativamente), aver gestito il Pd quasi come fosse cosa personale, accreditando nelle mansioni più delicate solo ed esclusivamente persone vicine al leader e sodali con le sue indicazioni ( nella Prima repubblica qualcuno avrebbe parlato, seppur in senso lato, di famigli) fa sì che adesso l’ex premier si ritrovi a navigare in solitaria, in balìa degli umori, delle preoccupazioni e delle convenienze degli altri maggiorenti del Nazareno. E’ difficile, infatti, allontanare la sensazione che l’idea di rinviare le primarie avanzata da pezzi della maggioranza riconducibili a Dario Franceschini e Piero Fassino - indipendentemente dal formidabile assist in tal modo consegnato agli scissionisti che di tempi più lunghi facevano una loro bandiera niente abbia a che fare con il tentativo di distinguere le proprie responsabilità e la salvaguardia del partito da quelle di Renzi: per vedere se ce la fa a rintuzzare l’ondata giudiziaria, e in quel caso confermare l’appoggio anche congressuale; oppure se al contrario affonda e in tal caso decidere se ripiegare su Orlando o altro ancora. Forse è così, forse no: ma per chi legge i fatti politici, sospetti del genere scattano alla stregua di riflessi condizionati.

In questo bailamme, il governo Gentiloni deve operare, ascoltando il coro di chi gli chiede più polso e maggiore speditezza d’azione. Ma è puerile credere che il polverone politico- giudiziario si scansi di fronte a palazzo Chigi. Tanti sembrano voler giocare col fuoco perfino irresposabilmente. Salvo poi sorprendersi se le fiamme tracimano e in tanti finiscono scottati.