Burkina Faso, Guinea, Mali, Ciad, a luglio il Niger e ora Il Gabon. In tre anni una vera e propria pandemia di golpe, come già la chiamano gli analisti, sta scuotendo i paesi africani nati dall'eredità coloniale francese. Ultimo in ordine di tempo dunque il colpo di stato di mercoledì scorso, quando il generale Brice Oligui Nguema, capo della forza di sicurezza, ha preso il potere detronizzando il presidente Ali Bongo che era stato eletto per un terzo mandato. Immediatamente dopo i risultati i militari infatti hanno annullato la consultazione e messo Bongo agli arresti domiciliari portando in cella uno dei suoi figli accusato di alto tradimento.

Nel giro di poche ore, i generali si sono incontrati per discutere chi avrebbe guidato la transizione e hanno concordato con voto unanime di nominare Nguema. Quest'ultimo ha giustificato l'azione come necessaria per sanare la ferita di un elezione considerata fraudolenta, anzi un tradimento della stessa Costituzione gabonese. Detto da un golpista suona abbastanza contraddittorio ma è anche vero che Ali Bongo, figlio di Omar, appartiene a una famiglia che ha governato ininterrottamente il Gabon per 56 anni creando una sorta di dinastia.

La capitale Libreville in realtà festeggia il colpo di stato, segno che il presidente deposto non gode di grande sostegno, immediatamente dopo la sua cacciata ha fatto appello alla popolazione a ribellarsi. L'effetto esattamente contrario ha richiamato le stesse scene già viste in Niger. Il golpe dunque, come altri più recenti, ha assunto il sapore di una necessità di cambiamento contro le élites molto spesso corrotte, legate al grande fratello francese e con abitanti per la stragrande maggioranza sotto la soglia di povertà.

C'è da dire che Nguema non è certo un ribelle militare come Thomas Sankara, per anni è stato un fedele generale di Omar Bongo, ha studiato in Senegal e Marocco ( ex colonie francesi). Una carriera dunque all'ombra, o forse meglio, all'interno del potere. Ma il colpo di stato si inserisce in un quadro complicato dove l'Africa francofona pare essere diventata il campo di battaglia di uno scontro che si gioca in altre capitali.

In Niger l'ex presidente Bouzum era sostenuto dai francesi e i militari che l'hanno deposto hanno seriamente minacciato la presenza, anche militare di Parigi, nello stesso Gabon permane un distaccamento di circa quattrocento uomini, in Mali poi i due golpe che si sono succeduti tra il 2020 e il 2021 hanno visto una recrudescenza armata con un coinvolgimento francese. L'Eliseo ha condannato il colpo di stato in Gabon chiedendo che il risultato delle elezioni sia rispettato. Per contro Mosca ha ricevuto con preoccupazione notizie di un forte deterioramento della situazione interna nel paese africano amico.

Preoccupazione certo, ma non condanna. Nella dichiarazione il Gabon è un paese amico. Il segno di una accresciuta influenza russa in Africa e soprattutto in quei paesi vicini alla Francia. Al recente vertice Russia- Africa a San Pietroburgo, i leader del Burkina Faso e del Mali hanno dichiarato il loro sostegno al presidente Vladimir Putin e all'invasione dell'Ucraina.

Il confronto globale vede l'Africa al centro, basti pensare che il Gabon con una popolazione di soli 2,4 milioni di abitanti dispone di ingenti riserve di petrolio e metalli preziosi. La Francia anche dopo il periodo coloniale ha continuato a mantenere un efficace presa nella regione. Parigi ha stabilito accordi di difesa che l'hanno vista intervenire regolarmente militarmente a favore di leader filo- francesi impopolari per mantenerli al potere. I generali golpisti dunque hanno avuto buon gioco a presentarsi come alfieri dell'indipendenza.

Ma probabilmente, i beneficiari di possibili nuove alleanze saranno le élites politiche piuttosto che i cittadini comuni. Lo dimostra che le truppe del gruppo Wagner, che con la morte di Prighozin sembrano essere tornate sotto lo stretto controllo di Putin, sono state responsabili della tortura e del massacro di centinaia di civili in Mali come parte delle operazioni anti- insurrezione.