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LA DENUNCIA DI AMNESTY INTERNATIONAL: OSCURATA OGNI CRITICA ALLA CLASSE DIRIGENTE
Hanoi aveva minacciato di cacciare dal Paese il social di Zuckerberg Anche in Thailandia sono state colpite le voci ostili alla monarchia
«Milioni di persone in Vietnam utilizzano i nostri servizi ogni giorno per connettersi con familiari e amici e migliaia di aziende si affidano a loro per raggiungere i clienti. Non sempre ci confrontiamo con i governi su questioni come la libertà di parola ed espressione, anche in Vietnam, ma lavoriamo duramente per difenderla in tutto il mondo». Lo dice una nota di commento, da parte di Facebook, al rapporto pubblicato ieri da Amnesty International che accusa apertamente la creatura social di Mark Zuckberg e l’altro colosso Google digitale ( che possiede anche Youtube) di essersi inchinati alla censura operata dal regime vietnamita. Secondo l'organizzazione per la difesa dei diritti umani, ci sono prove che la piattaforma abbia accolto centinaia di richieste di censura all'inizio di quest'anno. Ciò includerebbe la critica pacifica dello Stato. In realtà la ragione per un tale comportamento esiste e ha basi solide. Il Vietnam infatti è un mercato redditizio.
Nel 2018, gli introiti di Facebook nel paese hanno raggiunto quasi 1 miliardo di dollari, un terzo di tutte le entrate provenienti dal sud- est asiatico. Google invece ha guadagnato 475 milioni di dollari, grazie alla pubblicità su YouTube.
Per Ming Yu Hah, vicedirettore regionale per le campagne di Amnesty International «queste piattaforme sono diventate terreno di caccia per censori, truppe informatiche militari e troll sponsorizzati dallo stato. Le piattaforme stesse non si limitano a lasciare che accada, ma sono sempre più complici».
Nel concreto, segnala Amnesty, nella prima metà del 2020, Facebook ha operato 834 restrizioni sui contenuti. Un considerevole aumento dovuto alle richieste delle autorità di tacitare le polemiche circa la disputa sulla terra di Dong Tam, uno scontro importante riguardante la decisione dei militari di costruire un aeroporto su un terreno rivendicato dagli abitanti del villaggio.
Ad aprile, Facebook ha accettato di conformarsi alle richieste di geoblocco dei contenuti, a seguito della pressione del governo vietnamita, che ha affermato di aver deliberatamente rallentato il traffico verso la piattaforma mettendo offline i server locali.
Un esempio pericoloso che potrebbe essere seguito anche da altri regimi. Lo dimostra ciò che è successo in Thailandia dove Facebook ha rimosso un gruppo contrario alla monarchia che contava almeno 1 milione di utenti. Una decisione presa a seguito della minaccia di azioni legali da parte del governo thailandese.
Amnesty ha individuato almeno 170 prigionieri per reati di opinione, tra questi 69 sono stati incarcerati per aver pubblicato contenuti online.
Ma oltre al carcere sono stati segnalati episodi di aggressione fisica da parte della polizia e di alcuni gruppi filogovernativi dai contorni più che opachi. Si tratta di elementi legati ai militari come la Forza 47 del Vietnam, un'unità composta da 10mila unità, e il ' Du Luan Vien', un gruppo di volontari composto da attivisti del partito comunista.