Il giudice della sezione civile del Tribunale di Crotone, Antonio Albenzio, ha emesso un'ordinanza con la quale conferma la sospensione del fermo amministrativo al quale era stata sottoposta la nave della Ong tedesca, eseguito dal ministero degli Interni con un blitz interforze in seguito al salvataggio in acque libiche dello scorso 2 marzo. Prima la Iuventa e poi la Humanity 1: in pochi giorni, le Ong hanno ottenuto dei riconoscimenti importanti per il loro impegno nelle acque del Mediterraeo.

Il Tribunale, in attesa dell'udienza di merito che si terrà il 26 giugno, ha accolto il ricorso presentato dai legali della ong tedesca Sos Humanity, le avvocate Giulia Crescini e Cristina Cecchini. La nave era arrivata a Crotone lo scorso 4 marzo dopo aver soccorso nel canale di Sicilia 77 persone ed era stata sottoposta a fermo per aver violato il decreto Piantedosi nel soccorrere i migranti alla deriva. Secondo la guardia costiera libica, avrebbe ostacolato il soccorso di migranti. Secondo la Ong, invece, i libici avevano anche sparato in acqua per indurre i soccorritori a lasciare la zona di soccorso.Ma per il Tribunale di Crotone «non può ritenersi che l’attività perpetrata dalla guardia costiera libica sia qualificabile come attività di soccorso per le modalità stesse con cui è stata esplicata». Si tratta di una «circostanza documentalmente provata che il personale libico fosse armato e avesse esploso colpi d’arma da fuoco». Il giudice chiarisce che «allo stato attuale non è possibile considerare la Libia un posto sicuro ai sensi della Convenzione di Amburgo, essendo il contesto libico caratterizzato da violazioni gravi e sistematiche dei diritti umani e non essendo stata mai ratificata la Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati da parte della Libia». E quindi nessun luogo sicuro risulta essere stato reso noto dalle autorità libiche intervenute per coordinare sul posto le operazioni di recupero dei migranti.

La decisione sulla Humanity 1 potrebbe rappresentare un precedente al quale richiamarsi altri tribunali, dal momento che l’attività della guardia costiera libica non è rispettosa di accordi internazionali che sanciscono l’obbligo di prestare soccorso in mare.