Dietro le sbarre delle carceri italiane, continua il dramma che si consuma giorno dopo giorno, strappando via le vite di chi è già stato privato della libertà. Altri due suicidi hanno attirato l'attenzione degli addetti ai lavori e non solo. Una delle due tragedie è emersa sotto i riflettori giovedì scorso grazie alla segnalazione di Gennarino De Fazio, segretario generale della Uilpa Polizia Penitenziaria. Riguarda il carcere bolognese della Dozza, dove l'arcivescovo Zuppi è giunto portando conforto e speranza per gli animi intrappolati dietro le sbarre. Tuttavia, in quel momento di solenne visita, un'altra anima ha deciso di spezzarsi. Una donna di 55 anni, di origini slovacche, ha trovato la sua fine in una bomboletta di gas da campeggio, uno strumento banale spesso trasformato in mezzo di morte. Gli sforzi disperati degli agenti di polizia penitenziaria e dei sanitari sono stati vani, mentre il suo ultimo atto, una lettera, è rimasto come testimonianza silente del suo tormento interiore. Una vita spezzata, un'altra aggiunta alla macabra conta dei suicidi che affligge le nostre prigioni.
Le parole dell'arcivescovo Zuppi, cariche di umanità e compassione, si ergono come un faro nel buio, illuminando la cruda realtà delle condizioni di vita dietro le sbarre. Eppure, le sue preghiere sembrano cadere nel vuoto, schiacciate dal peso di un sistema carcerario che geme sotto il peso del sovraffollamento e della mancanza di assistenza umana.
Ma il dolore non ha conosciuto pausa. Solo ieri, un giovane di soli 29 anni ha scelto di porre fine alla sua esistenza tramite una lenta agonia, rifiutando il cibo e lasciandosi morire di fame nella solitudine della sua cella a Poggioreale. Le parole del segretario generale del Sindacato Polizia Penitenziaria, Aldo Di Giacomo, il quale ha dato notizia, risuonano come un'accusa lancinante contro un sistema che sembra aver abbandonato i detenuti alla disperazione. Con un peso corporeo ridotto all'estremo, il giovane straniero ha chiuso gli occhi per sempre, diventando una statistica in un elenco sempre più lungo di anime perdute.
Dall'inizio dell'anno, già sessantatré vite si sono spente nelle prigioni italiane, alcune per cause ancora avvolte nell'ombra dell'incertezza, altre – con un numero drammatico di 26 persone in meno di tre mesi dall’inizio dell’anno - per la triste scelta del suicidio. Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha alzato la sua voce, richiamando l'attenzione sul dramma. Ma le parole da sole non possono porre fine a questa spirale di morte e disperazione. Proprio qualche giorno fa, come raccontato su queste stesse pagine de Il Dubbio, c’è stata una sentita manifestazione organizzata dall’Unione delle Camere Penali per chiedere un intervento da parte del governo e tutte le forze politiche del parlamento. In campo ci sono sue proposte di leggi fattibilissime, una sulla liberazione anticipata speciale proposta da Roberto Giachetti di Italia Viva, l’altra di Riccardo Magi di + Europa sulle Case di reinserimento sociale nei confronti per i detenuti con pene brevi. Il sistema penitenziario deve essere riformato, non solo per garantire la sicurezza della società, ma anche per preservare la dignità e il valore di ogni singola vita che è stata affidata alla sua custodia. Finché il lamento silenzioso delle carceri non troverà ascolto, continueremo a contare le vittime, a piangere le anime perdute, e a chiederci quale sia il vero prezzo dell'indifferenza.