Brutale, improvvisa, dagli effetti potenzialmente devastanti, per l'Europa ma soprattutto per la Gran Bretagna. La vittoria del leave si abbatte come uno tsunami sul governo di David Cameron, il grande sconfitto della battaglia di Brexit, l'uomo che aveva indetto il referendum per consolidare la sua leadership e che è invece riuscito a realizzare un capolavoro di masochismo politico senza precedenti. Un innaffiatore innaffiato che alla fine ha inondato tutto il Vecchio continente. Di fronte a una simile catastrofe, le dimissioni sono un atto inevitabile, l'ampiezza della sconfitta non permette alternative o ripensamenti: «Il popolo britannico ha preso una decisione chiara, me ne vado, il paese ha bisogno di una nuova guida», le parole sommesse ma dignitose del premier uscente. Che riceve anche un enfatico quanto beffardo omaggio dal rivale Boris Johnson, paladino del leave grande vincitore del referendum assieme al populista Nigel Farage e suo probabile successore alla testa dei conservatori inglesi: «Sono molto dispiaciuto per lui, Cameron è un uomo politico straordinario del nostro tempo». Quasi un epitaffio shakespeariano per il Cameron-Bruto "uomo d'onore". La tempesta colpisce naturalmente anche i laburisti e il loro leader Jeremy Corbyn, accusato all'interno del partito di aver sostenuto la campagna per il remain con una tale svogliatezza da indurre molti elettori labour a votare per l'uscita dall'Ue. Il suo passato euroscettico d'altra parte autorizza legittimi sospetti sull'impegno profuso in questi mesi.La caduta del premier (che lascerà materialmente Downing Street a ottobre) e la delicatissima fase che si apre oltremanica sono solo effetti collaterali di un terremoto più profondo, che rischia di disgregare la stessa geopolitica del Regno Unito, una nazione attraversata da preoccupanti linee di frattura. «È una vittoria della gente vera, una vittoria della gente ordinaria, una vittoria della gente per bene. Abbiamo lottato contro le multinazionali, le grandi banche, le bugie, i grandi partiti, la corruzione e l'inganno», ha commentato Farage, compendiando in una sola frase la natura assieme plebea e piccolo borghese del suo movimento e del suo messaggio, un partito dell'uomo qualunque, xenofobo e nazionalista che mobilita il suo popolo evocando complotti diabolici e nemici alle porte. Che siano i banchieri di Bruxelles o gli stranieri e i migranti, la retorica dell'odio è trasversale, mentre al contrario le contrapposizioni si calcificano. La capitale Londra (70% di remain) contro le campagne, i giovani contro i vecchi. E il paradosso per il quale un voto identitario e sovranista apre in realtà la strada a ulteriori secessioni come quella della Scozia, un caso emblematico del corto-circuito generato dalla Brexit. Nicola Sturgeon, primo ministro scozzese e leader del Partito Nazionale ha infatti annunciato che chiederà un secondo referendum per ottenere l'indipendenza da Londra dopo quello perduto nel 2014, spiegando poi che la Scozia -dove il remain ha vinto con il 64%- intende entrare nell'Unione Europea e addirittura aderire alla zona euro.