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Ha vinto il prestigioso Premio Victorian, ma non può ritirarlo, come un qualsiasi dissidente politico prigioniero di una dittatura. Solo che Behrouz Boochani, 35 anni, curdo iraniano perseguitato politico nella Repubblica sciita, non è in un carcere ma ugualmente prigioniero. Le autorità australiane lo hanno infatti confinato nell’isola di Manus, a oltre mille chilometri dalla costa in un campo profughi. E’ il luogo dove vengono deportati i migranti clandestini in uno dei paesi che possiede le normative più dure nei confronti dei flussi migratorie. Boochani ha chiesto asilo politico a Canberra ma le sue speranze di poterlo ottenere sono vicine allo zero.
Però, nonostante la situazione scoraggiante, non si è perso d’animo e ha provato a raccontare la sua esperienza scrivendo i suoi pensieri su Whatsapp, utilizzando il suo telefono. Alla fine ne è uscito fuori un romanzo «capolavoro», per impiegare l’espressione della giuri che lo ha premiato con un assegno da 80mila dollari.
Il quotidiano britannico The Guardian racconta che, non avendo un computer nella sua baracca, ha composto il suo romanzo autobiografico - dal titolo No Friend But the Mountains: Writing from Manus Prison, scrivendo un messaggio alla volta e mandando i testi in lingua farsi al suo amico Omid Tofighian, che le ha tradotte in inglese. «Non ho scritto su carta perché ai tempi le guardie perquisivano la nostra stanza ogni settimana ma ci permettevano di conservare i cellulari. Avevo paura di perdere ciò che avevo scritto» ha raccontato alla Bbc. Nei suoi racconti Boochani denuncia il sistema di detenzione messo in piedi dal governo australiano per bloccare gli afflussi di stranieri più volte denunciato da associazioni e ong internazionali: «All’interno dei campi le condizioni sono orribili, è una quotidiana tortura», racconta Boochani, sottolineando come il suo premio «è una vittoria della letterartura e dell’arte, ma soprattutto dell’umanità e della dignità della persona».