Il rifiuto della pena di morte ora si fa catechesi e ricongiunge la dottrina della Chiesa con il buon senso dei Vangeli. L’intervento di papa Francesco contro le esecuzioni capitali nel mondo ha un’importanza storica proprio perché non è soltanto faltus vocis.

Al contrario presuppone una modifica in calce al testo del Catechismo della Chiesa Cattolica che sarà poi tradotta nelle diverse lingue e inserita in tutte le edizioni. L’ultima edizione del 1992 non escludeva il ricorso al boia di Stato per i «casi estremi». Ora nessuna eccezione alla regola, la vita umana deve essere preservata e difesa in ogni caso.

Non solo il rifiuto della primitiva legge del taglione, non solo il rispetto del Quinto comandamento ( «Non uccidere! » ), non solo l’idea che l’uomo ( o lo Stato) non può sostituirsi al Dio creatore decretando la morte dei suoi simili, l’idea di Francesco è soprattutto politica e la sua strategia è “attiva”. Il Vaticano vuole in tal senso lottare per una moratoria mondiale della pena di morte, è un suo obiettivo concreto e per raggiungerlo eserciterà tutta l’influenza di cui dispone. Già nel 2015, durante il papa argentino, in un toccante discorso pronunciato nella “tana del lupo” e cioè al Congresso degli Stati Uniti paese fieramente anti- abolizionista, condannò con fermezza la pena capitale, annunciando l’impegno del suo magistero per abolirla ovunque nel pianeta.

Molto dettagliate le parole di Bergoglio: «Per molto tempo il ricorso alla pena di morte da parte della legittima autorità, dopo un processo regolare, fu ritenuta una risposta adeguata alla gravità di alcuni delitti e un mezzo accettabile, anche se estremo, per la tutela del bene comune. Oggi è sempre più viva la consapevolezza che la dignità della persona non viene perduta neanche dopo aver commesso crimini gravissimi. Inoltre, si è diffusa una nuova comprensione del senso delle sanzioni penali da parte dello Stato. Infine, sono stati messi a punto sistemi di detenzione più efficaci, che garantiscono la doverosa difesa dei cittadini, ma, allo stesso tempo, non tolgono al reo in modo definitivo la possibilità di redimersi». La dignità della persona non viene dunque perduta neanche di fronte al più efferato dei crimini, un concetto che verrà normato dalla Congreazione per la Dottrina della Fede.

«La Chiesa insegna, alla luce del Vangelo, che la pena di morte è inammissibile- prosegue Bergoglio- perchè attenta all’inviolabilità e dignità della persona e si impegna con determinazione per la sua abolizione in tutto il mondo».

Finora l’insegnamento tradizionale della Chiesa non escludeva in modo assoluto il ricorso alla pena di morte. È per questo motivo che Papa Francesco ha auspicato che il Catechismo venga modificato. Il punto in questione era il 2267: «L’insegnamento tradizionale della Chiesa non esclude, supposto il pieno accertamento dell’identità e della responsabilità del colpevole, il ricorso alla pena di morte, quando questa fosse l’unica via praticabile per difendere efficacemente dall’aggressore ingiusto la vita di esseri umani».

Questa formulazione era stata chiesta esplicitamente alla Santa Sede dal rappresentante dell’Episcopato del Cile nel Comitato di redazione del Catechismo, come aveva poi rivelato l’allora cardinale Joseph Ratzinger. In realtà il Concilio di Trento, nel suo Catechismo, ripreso dal Catechismo maggiore di Pio X, diceva che è lecito uccidere quando si combatte «una guerra giusta» e quando «quando si esegue per ordine dell’autorità suprema la condanna di morte in pena di qualche delitto».

Lo stesso Stato del Vaticano prevedeva la pena capitale fino alla prima abolizione de facto, ma non de jure da parte di Paolo VI. Fu papa Wojtyla che, con l’eciclica motu proprio nel febbraio 2001, che abolì in modo definitivo l’estremo supplizio dalla Legge fondamentale vaticana.