Striscioni di benvenuto appesi fuori dalle finestre del carcere e canti dei detenuti che sventolano una margherita. Così è stato accolto papa Francesco al suo arrivo nel penitenziario veronese. Il Pontefice, incontrando i detenuti prima di trattenersi a pranzo con loro, ha detto: «Con dolore ho appreso che purtroppo qui, recentemente, alcune persone, in un gesto estremo, hanno rinunciato a vivere. È un atto triste, questo, a cui solo una disperazione e un dolore insostenibili possono portare. Perciò, mentre mi unisco nella preghiera alle famiglie e a tutti voi, voglio invitarvi a non cedere allo sconforto. La vita è sempre degna di essere vissuta, e c'è sempre speranza per il futuro, anche quando tutto sembra spegnersi. La nostra esistenza, quella di ciascuno di noi, è importante. Noi non siamo materiale di scarto. È un dono unico per noi e per gli altri, per tutti, e soprattutto per Dio, che mai ci abbandona, e che anzi sa ascoltare, gioire e piangere con noi. E perdona sempre. Per me entrare in un carcere è sempre un momento importante, perchè il carcere è un luogo di grande umanità. Sì, è un luogo di grande umanità. Di umanità provata, talvolta affaticata da difficoltà, sensi di colpa, giudizi, incomprensioni e sofferenze, ma nello stesso tempo carica di forza, di desiderio di perdono, di voglia di riscatto. Non dimenticate: Dio perdona tutto e perdona sempre». Papa Francesco ha aggiunto: «Conosciamo la situazione delle carceri, spesso sovraffollate, con conseguenti tensioni e fatiche. Per questo voglio dirvi che vi sono vicino, e rinnovo l’appello, specialmente a quanti possono agire in questo ambito, affinchè si continui a lavorare per il miglioramento della vita carceraria». Il Papa ci teneva tanto a incontrare i detenuti e la visita del carcere di Montorio è stato uno dei punti fondamentali della sua visita pastorale nella città scaligera. 

Prima ha incontrato oltre dodicimila persone che affollavano l’Arena per l’incontro sulla Giustizia e la Pace, ai quali ha detto: «La cultura fortemente marcata dall’individualismo rischia sempre di far sparire la dimensione della comunità. Dove c’è individualismo forte sparisce la comunità. E se pensiamo in termini politiche e demografiche è forse la radice delle dittature». Dove c’è individualismo «spariscono la dimensione della comunità, spariscono i legami vitali che ci sostengono e ci fanno avanzare. E inevitabilmente produce delle conseguenze anche sul modo in cui si intende l’autorità. Chi ricopre un ruolo di responsabilità in un’istituzione politica, oppure in un’impresa o in una realtà di impegno sociale, rischia di sentirsi investito del compito di salvare gli altri come se fosse un eroe - ha sottolineato -. Questo avvelena l’autorità. E questa è una delle cause della solitudine che tante persone in posizione di responsabilità confessano di sperimentare, come pure una delle ragioni per cui siamo testimoni di un crescente disimpegno».

Il Pontefice ha abbracciato l'israeliano Maoz Inon, al quale sono stati uccisi i genitori da Hamas il 7 ottobre, e il palestinese Aziz Sarah, al quale l'esercito israeliano ha ucciso il fratello, ora amici e collaboratori. Ha risposto a una domanda sul tema «La pace va organizzata» rivoltagli dall’afghana Mahbouba Seraj, venuta da Kabul. «Se l’idea che abbiamo del leader è quella di un solitario, al di sopra di tutti gli altri, chiamato a decidere e agire per conto loro e in loro favore, allora stiamo facendo nostra una visione impoverita e impoverente - ha avvertito Francesco -, che finisce per prosciugare le energie creative di chi è leader e per rendere sterile l’insieme della comunità e della società». E poi ha aggiunto: «L’autorità di cui abbiamo bisogno è quella che innanzi tutto è in grado di riconoscere i propri punti di forza e i propri limiti, e quindi di capire a chi rivolgersi per avere aiuto e collaborazione. L’autorità è sostanzialmente collaborativa. L’autorità per costruire processi solidi di pace sa infatti valorizzare quanto c’è di buono in ognuno, sa fidarsi, e così permette alle persone di sentirsi a loro volta capaci di dare un contributo significativo». «Questo tipo di autorità favorisce la partecipazione», «se non c’è partecipazione le cose non funzionano. Non dimenticate questa parola: partecipazione, è importante».

Al suo arrivo a Verona è stato accolto dal vescovo, monsignor Domenico Pompili, dal presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, dal prefetto della città, Demetrio Martino, e dal sindaco Damiano Tommasi. E sul sagrato della Basilica di San Zeno a Verona ai circa 7.000 tra bambini e ragazzi ha detto: «Per porre fine ad ogni forma di guerra e violenza bisogna stare al fianco dei piccoli, rispettare la loro dignità, ascoltarli». «Abbiamo pensato oggi a quanti bambini e bambine sono costretti a lavorare? Lavoro di schiavo? Quel bambino che forse mai ha avuto un giocattolo». «Ci sono tanti bambini così che non sanno giocare perché la vita li ha costretti a vivere così. I piccoli soffrono ed è colpa nostra. Siamo tutti responsabili». «Il Premio Nobel che possiamo dare a tanti di noi: il Premio Nobel del Ponzio Pilato perché siamo in maestri nel lavarci le mani», ha detto ai 12.500 che hanno risposto al suo appello per la pace. 

«Dobbiamo essere un segno di pace, condividere sempre», «ascoltare gli altri, giocare con gli altri, ma non litigare con gli altri. La domanda è come noi adesso come possiamo essere segno di pace nel mondo? Voi sapete che in questo momento il mondo è in guerra. Ci sono tante guerre, tante guerre, Ucraina, Terra Santa, nell’Africa, Myanmar, tante, tante guerre. E Gesù - ha domandato - predica la guerra o la pace? E noi cosa vogliamo fare la guerra o la pace? Cioè che dobbiamo essere un segno di pace, no? Ma se tu litighi con il compagno o la compagna di scuola, sarai un segno di pace?», e i bambini in coro hanno risposto a tutte le domande. 

Durante l’incontro con i sacerdoti e i consacrati nella Basilica di San Zeno papa Francesco, evocando la tragedia “Romeo e Giulietta”, dice: «Se il genio di Shakespeare si è fatto ispirare dalla bellezza di questo luogo per raccontarci le vicende tormentate di due innamorati, ostacolati dall’odio delle rispettive famiglie, noi cristiani, ispirati dal Vangelo, impegniamoci a seminare ovunque un amore più forte dell’odio - oggi c’è tanto odio nel mondo - e della morte. Sognatela così, Verona, come la città dell’amore. Non solo nella letteratura ma anche nella vita».  E aggiunge: «C’è il rischio che il male diventi normale. È un rischio questo... Il male non è normale. Non deve essere normale. Nell’inferno sì, ma qui no. Il male non può essere normale e che facciamo l’abitudine delle cose brutte... e così diventiamo complici».