Alcuni giuristi israeliani hanno inviato una lettera a Benjamin Netanyahu per convincerlo a non lanciare l’offensiva per l’occupazione totale della Striscia di Gaza. Un appello volto ad evitare che il dramma umanitario della popolazione palestinese si acuisca, senza dimenticare il rischio di gravi perdite per Tsahal.

Il capo di Stato maggiore, Eyal Zamir, ha detto che «la conquista della Striscia trascinerà Israele in un buco nero». Il premier sembra però intenzionato ad andare avanti, ma non esclude alcune concessioni. Il controllo completo della Striscia rimane nei piani. «Intendiamo farlo – ha spiegato Netanyahu - per garantire la nostra sicurezza, rimuovere Hamas, rendere la popolazione di Gaza libera». Dopo questo primo step, il controllo dei territori potrebbe essere affidato a «un governo civile che non è Hamas o altri gruppi che vogliono la distruzione di Israele». «Vogliamo liberare noi stessi e liberare gli abitanti di Gaza dal terribile terrorismo di Hamas», ha aggiunto Bibi.

Queste rassicurazioni non convincono però gli accademici israeliani. Il documento inviato a Netanyahu è firmato, tra gli altri, dal costituzionalista David Kretzmer della “Hebrew University” di Gerusalemme, dai filosofi del diritto David Enoch (“Hebrew University”, Università di Oxford) e Yitzhak Benbaji (Università di Tel Aviv), da Eyal Benvenisti (internazionalista dell’Università di Cambridge e della Columbia Law School) e da Orna Ben-Naftali (professoressa di diritto internazionale umanitario del “Van Leer Jerusalem Institute”). Gli studiosi delle più importanti università israeliane rivolgono un appello direttamente al primo ministro, affinché venga ripristinata la legalità con il pieno rispetto del diritto internazionale.

«La questione della legalità della guerra – scrivono Kretzmer, Enoch e gli altri giuristi - non si è posta con grande urgenza all’inizio, poiché era chiaro che l’attacco del 7 ottobre 2023 rappresentava per Israele una grave minaccia contro la quale aveva il diritto, forse persino l'obbligo, di difendersi. Ciò è stato compreso dalla maggior parte della comunità internazionale e Israele ha di conseguenza ricevuto ampio sostegno al suo diritto di usare la forza. Il diritto internazionale riconosce il diritto intrinseco di uno Stato attaccato a usare la forza per autodifesa».

Tale diritto però non è illimitato, come fanno notare gli accademici, essendo soggetto «a condizioni vincolanti di necessità e proporzionalità». Gli elementi della “necessità” e della “proporzionalità” sono due pilastri delle argomentazioni poste all’attenzione del primo ministro israeliano. «Degradare gravemente le capacità militari di Hamas – affermano - e privarla della possibilità di attaccare Israele nel prevedibile futuro, insieme al rilascio degli ostaggi, sono gli unici obiettivi che possono giustificare la continuazione dei combattimenti. Il diritto internazionale non consente l’uso della forza a fini di vendetta, punizione, deterrenza generale o cambio di regime».

Gli esperti di diritto costituzionale e di diritto internazionale sollevano una serie di perplessità sulla prosecuzione, con ancora più veemenza, delle operazioni militari sulla Striscia di Gaza, visto pure che non c’è nessuna garanzia sul rilascio degli ultimi ostaggi nelle mani di Hamas: «Anche se si potessero ottenere alcuni vantaggi militari attraverso la prosecuzione dei combattimenti, il beneficio marginale in termini di sicurezza che questi vantaggi produrrebbero non è proporzionato all'entità del danno umanitario causato alla vita, al benessere e ai beni dei civili di Gaza che non sono coinvolti nei combattimenti. La Corte Suprema israeliana ha da tempo affermato che quello della proporzionalità è un principio fondamentale sia del diritto israeliano che di quello internazionale (HCJ 2056/04 Beit Sourik contro Governo di Israele, PD 58(5) 807 (2004), par. 37). La continuazione e, soprattutto, l’espansione della campagna militare deve essere valutata non solo alla luce della ridotta minaccia rappresentata da un Hamas indebolito, ma anche alla luce dell'entità della distruzione e della profondità della crisi umanitaria già causata dalla guerra».

Le conclusioni alle quali giungono gli accademici sono molto chiare. I vertici istituzionali e militari d’Israele rischiano di macchiarsi di gravi crimini. «L'uso della forza – sottolineano David Kretzmer e gli altri professori - che eccede i limiti della proporzionalità e non è in grado di raggiungere l’obiettivo dell’autodifesa è illegale e, in determinate circostanze, può persino costituire un reato ai sensi delle categorie più gravi della legge che regola l’uso della forza e del diritto penale internazionale. Inoltre, secondo il diritto internazionale umanitario, una guerra che abbia perso il suo scopo legittimo viola il diritto alla vita di coloro che ne sono danneggiati da essa. Viola il diritto alla vita dei civili a Gaza e in Israele, compresi gli ostaggi, nonché il diritto alla vita dei soldati dell'Idf. Nella situazione attuale, la continuazione della guerra è diventata illegale e potrebbe persino costituire un atto di aggressione, con conseguente responsabilità penale personale per gli alti funzionari statali».

Sulla guerra a Gaza è intervenuta l’Associazione italiana dei professori di diritto penale (Aipdp), presieduta dal professor Gian Luigi Gatta dell’Università di Milano “Statale”. «Restiamo fermamente convinti – si legge in una dichiarazione dell’Aipdp - che i conflitti non si risolvano mai con la violenza, ma con il dialogo e la riconciliazione, sotto lo scudo del diritto e dei suoi principi di civiltà, che devono essere difesi strenuamente e mai abbandonati a tutela dei diritti intangibili di qualsiasi essere umano».