Che fine ha fatto Davide Cervia, l’ex sottufficiale della Marina militare esperto in tecnologie di guerra elettronica, scomparso il 12 settembre 1990? A trent’anni esatti dal rapimento, è uscito "Il caso Davide Cervia", il nuovo libro del giornalista Valentino Maimone, che ha seguito la vicenda dall’inizio. Tra depistaggi, bugie e omissioni per coprire una verità indicibile: «un uomo può essere venduto come un pezzo di ricambio sul mercato del traffico d’armi». L'opera (disponibile su Amazon, in formato ebook e cartaceo) attraverso documenti inediti, retroscena e interviste esclusive ai protagonisti cerca di fare chiarezza su uno dei grandi misteri irrisolti.

Maimone, cosa accadde quel giorno?

Verso le 17 Cervia uscì dall'azienda di elettrotecnica dove lavorava, salutò i colleghi, ma non fece più ritorno a casa. Da quel momento non si avranno più tracce di lui. Ed è stato dimostrato che il suo non fu un allontanamento volontario.

Cervia, prima di quel lavoro, era stato sottoufficiale della Marina militare?

Si era arruolato a 17 anni, era diventato il migliore esperto in Italia, tra i primi in Europa, in tecnologie militari. Aveva allestito personalmente le apparecchiature della nave Maestrale, fiore all'occhiello della nostra Marina. A un certo punto, però, aveva deciso di abbandonare quella vita troppo stressante per dedicarsi solo alla famiglia: si sposò con Marisa, fece due figli e andò a vivere a Velletri, vicino a Roma.

A cosa portarono le indagini sulla sua scomparsa?

Nell'immediato nessuno fece nulla. Le forze dell'ordine minimizzavano, parlando di una fuga con un’amante o da creditori, che non aveva mai avuto. Poi due testimoni oculari dichiararono di averlo visto mentre davanti al cancello della sua villetta fu bloccato da due macchine, preso di forza e portato via.

Cosa ha stabilito la giustizia in questi trent'anni?

Nel 2000, dopo dieci anni di omissioni e depistaggi, una sentenza penale riconobbe che Cervia era stato sequestrato, ma ad opera di ignoti. E ammise anche i ritardi nelle indagini. Ma fu una pietra tombale sulle speranze della famiglia di arrivare alla verità. Poi, per fortuna, qualcuno ha avuto un’intuizione che si sarebbe rivelata fondamentale.

A cosa si riferisce?

Diversi anni dopo, l'avvocato Licia D'Amico dello studio legale Galasso ha intentato, per conto della famiglia di Davide Cervia, un giudizio civile contro lo Stato puntando su un principio che già aveva utilizzato per far ottenere il risarcimento ai familiari delle vittime di Ustica: la lesione del diritto dei cittadini alla verità. E anche stavolta ha avuto ragione. Il risarcimento, però, è stato puramente simbolico, un solo euro. Perché l'Avvocatura dello Stato ha posto una barriera: se non volete che invochiamo la prescrizione, non dovete pretendere un risarcimento vero e proprio. La famiglia Cervia ha chinato il capo e accettato anche quest'onta, pur di far celebrare il processo.

Che fine ha fatto Davide Cervia?

Tutte le ricostruzioni, suffragate ormai da decine di elementi non smentibili, conducono a questa verità: Cervia è stato rapito per essere portato in un Paese arabo per sfruttarne, alla vigilia della prima Guerra del Golfo, le sue conoscenze. Uomini con quelle competenze, sul mercato del traffico di armi internazionale, sono sempre molto richiesti. Specialmente i Paesi sotto embargo hanno continua necessità di personale altamente qualificato, in grado di allestire e utilizzare certi armamenti e formare i militari locali.

Lo Stato italiano sapeva?

Sono certo che pezzi dello Stato ne abbiano avuto sempre piena consapevolezza. Se qualcuno si è potuto permettere di far sparire un ex militare dalle conoscenze così strategicamente cruciali per il Paese, è impossibile non pensare a coperture istituzionali. Ed è uno degli aspetti più inquietanti di questa storia.