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Russian President Vladimir Putin attends the Orthodox Easter service at the Cathedral of Christ the Saviour in Moscow, Russia, Sunday, May 5, 2024. (Valeriy Sharifulin, Sputnik, Kremlin Pool Photo via AP)
Quella di Dmitri Suslov, vicedirettore dei programmi di ricerca del Centro di studi europei e internazionali presso la Scuola superiore di Economia di Mosca è un’idea figlia dell’escalation delle ultime settimane tra la Russia e il blocco occidentale, sullo sfondo cruento della guerra in Ucraina.
«Per dimostrare la serietà delle nostre intenzioni spaventiamo i nostri avversari con un’esplosione nucleare dimostrativa» ha scritto Suslov sulla rivista economica Profil, sostenendo che si tratta dell’unico modo per «evitare una nuova guerra tra la Russia e l’Occidente che prima o poi arriverà a livello nucleare vista la superiorità degli Stati Uniti e dei loro alleati nella guerra convenzionale».
In mezzo a questo drammatico passaggio che ci porterebbe alle porte del conflitto atomico, uno spartiacque è l’invio di truppe Nato in Ucraina non solo come addestratori, prospettiva evocata con forza dal francese Macron e dallo stesso Segretario dell’Alleanza atlantica Stoltenberg. A quel punto il contatto tra l’armata russa e truppe della Nato sarebbe diretto.
Il fatto è che Suslov non è uno Stranamore qualsiasi o un accademico di nicchia; è al contrario tra i più ascoltati e influenti consiglieri di Vladimir Putin in materia di politica estera e relazioni internazionali. L’istituto per cui lavora è diretto da al politologo Serghei Karaganov un altro fedelissimo del Cremlino.
La sua analisi parte infatti dalla cronaca recente, ovvero dal “cambio di passo” di Stati Uniti e diversi paesi europei ormai decisi a permettere che l’esercito ucraino possa colpire obiettivi militari russi in territorio russo con armi occidentali, nella fattispecie missili terrestri a corto e medio raggio. Cambio di passo provocato dagli ultimi successi militari russi che, nonostante le perdite, continuano a rosicchiare territori nell’est dell’Ucraina e a bombardare le città a fronte delle enormi difficoltà di Kiev che non riesce più fermare l’avanzata.
«Per far capire che non stiamo scherzando e convincere gli Stati Uniti e i paesi europei che siamo pronti a un’escalation, vale la pena considerare di condurre un’esplosione nucleare dimostrativa; l’effetto politico e psicologico del fungo atomico, che sarà trasmesso in diretta su tutti i canali televisivi del mondo avrà un grande potere di deterrenza» ha concluso Suslov disegnando uno scenario che ci riporta direttamente agli anni cinquanta del novecento e alla grande paura di una guerra nucleare apocalittica. Il test dimostrativo dovrebbe essere effettuato in territorio russo o in una zona neutrale proprio come accadeva ai tempi dell’Unione sovietica e della Guerra fredda con gli Stati Uniti.
Il ministro degli esteri russo Sergei Lavrov sembra confermare questa linea parlando esplicitamente di «misure di deterrenza nucleare». Sostenendo poi che l’Ucraina starebbe già impiegando gli armamenti alleati oltre il confine russo e che ciò accade da diverso tempo. Ed è un’illazione quantomeno verosimile, coerente con alcune rivelazioni del Washington Post che indicano l’amministrazione Biden molto preoccupata per come l’esercito di Kiev sta utilizzandole forniture militari statunitensi.
Il quotidiano della capitale Usa che cita un funzionario del Pentagono, racconta che gli ucraini avrebbero colpito più di una volta obiettivi estranei alla macchina bellica della Russia, precisando che almeno un attacco, ad Armavir, nella regione russa sud-orientale di Krasnodar, avrebbe causato danni significativi anche per fortuna se nessuna vittima civile.
Lavrov da consumato politico tiene però aperta una finestra diplomatica, spiegando che la Russia è ancora disposta a fermare le operazioni di guerra, ma a patto che «l’Occidente la smetta di fornire aiuti agli ucraini».
Una condizione naturalmente inaccettabile da chi negli ultimi due ani ha inviato al governo ucraino centinaia di miliardi di dollari in aiuti militari proprio per ricacciare i soldati di Mosca oltre i propri confini nazionali.