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«Se la recidiva per i detenuti non lavoratori, infatti, si aggira intorno al 70%, per coloro che invece in carcere hanno appreso un lavoro, imparando ad avere fiducia in sé stessi, la recidiva scende drasticamente intorno al 2%», ha affermato lunedì scorso il consigliere del consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (CNEL) Gian Paolo Gualaccini. Parliamo del convegno “Le dimensioni della dignità nel lavoro carcerario” introdotto dal Presidente Tiziano Treu e dal Vicepresidente Floriano Botta, con gli Interventi, tra gli altri, di Francesca Malzani, Professoressa di Diritto del Lavoro, Università degli Studi di Brescia; Carmelo Cantone, Vice Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria - DAP; Mauro Palma, Presidente dell’Autorità Garante diritti dei detenuti e delle persone private della libertà personale; Gianfranco De Gesu, Direttore Generale dei Detenuti del DAP - Ministero della Giustizia, Lucia Castellano, Provveditore Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria della Campania.
Durante il convegno sono stati presentati i dati riguardante il lavoro dei detenuti. Coloro che lavorano con un contratto collettivo nazionale sono 18.654 (34% dei presenti) di cui 16.181 alle dipendenze dell’Amministrazione penitenziaria (84,7%) e 2.473 per imprese/ cooperative esterne e hanno un contratto molto simile, con gli stessi diritti e gli stessi doveri, dei lavoratori liberi. Quello che lavorano nell’amministrazione percepiscono una remunerazione decurtata di un terzo rispetto a quella dei lavoratori in stato di libertà; hanno diritto alle ferie remunerate, alle assenze per malattia e il datore di lavoro paga per essi i contributi assistenziali ( assicurazione sanitaria) e pensionistici. Quella di lunedì scorso è la tappa di un percorso avviato dal CNEL con il Ministero della Giustizia e l’Amministrazione penitenziaria con il Rapporto sul mercato del lavoro e la contrattazione 2021 in cui, per la prima volta, si sono accesi i riflettori sul lavoro di detenuti e detenute, con un capitolo interamente dedicato al tema a firma di Giuseppe Cacciapuoti, Lucia Castellano e Gianfranco De Gesu, che prevede l’istituzione di un gruppo di lavoro con l’obiettivo di comprendere, analizzare e sciogliere i nodi burocratici e giuridici che impediscono la piena attuazione del principio Costituzionale.
«I dati sul lavoro nelle carceri italiane o nella giustizia di comunità sono molto confortanti e ci danno, per la prima volta, un’immagine del sistema penitenziario molto diversa da quella che viene generalmente rappresentata ed è un segnale di grande maturità del nostro Paese. L’obiettivo e l’auspicio è spostare sempre di più i contratti dagli istituti penitenziari verso imprese e cooperative ma soprattutto definire percorsi di riabilitazione con enti locali e cooperative per favorire il reinserimento graduale», ha affermato Tiziano Treu.
«Implementare lavoro in carcere non significa togliere lavoro all’esterno è invece un grande valore per la società e anche di arricchimento del mercato del lavoro stesso. Mai come in questo momento storico c’è bisogno di portare sempre più imprese a sostenere i progetti di reinserimento dei detenuti perché il lavoro penitenziario risente della recessione, così come del periodo pre e post covid», ha affermato Carmelo Cantone, Vice Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria - DAP; «Il lavoro all'interno degli istituti penitenziari è svolto per la maggior parte in servizi domestici e di manutenzione ordinaria e, in misura minore, sia in attività industriali presso lavorazioni direttamente gestite dall'amministrazione, che in attività agricole presso le colonie e i tenimenti agricoli. Nel corso del 2022 la Direzione Generale dei detenuti si è impegnata, con le risorse a disposizione, per razionalizzare le attività delle strutture produttive presenti all'interno degli istituti penitenziari( falegnamerie, tessitorie, tipografie ecc)», ha spiegato Gianfranco De Gesu, Direttore Generale dei Detenuti del DAP - Ministero della Giustizia.
«Al CNEL oggi (lunedì 5 dicembre 2022, ndr) abbiamo sancito un patto fra l’Amministrazione penitenziaria, il terzo settore e il privato profit, con l’obiettivo di incentivare la funzione rieducativa della pena carceraria, avvicinando il mercato del lavoro al mondo degli istituti di pena. I dati dimostrano che la finalità rieducativa della pena è ancora un obiettivo sostanzialmente inattuato, ma per i detenuti lavoratori i dati sono ottimi. Se la recidiva per i detenuti non lavoratori, infatti, si aggira intorno al 70%, per coloro che invece in carcere hanno appreso un lavoro, imparando ad avere fiducia in sé stessi, la recidiva scende drasticamente intorno al 2%», a confermato il consigliere Gian Paolo Gualaccini.