Nel ricevere il premio Nobel per la Pace durante la cerimonia oggi ad Oslo, i tre premiati hanno condiviso un appello contro la guerra «folle e criminale» di Vladimir Putin contro l’Ucraina. Oleksandra Matviichuck del Centro ucraino per le libertà civili, ha detto che «lottare per la pace non significa cedere alle pressioni dell’aggressore, significa proteggere il popolo dalla sua crudeltà». «La pace - ha continuato - non può essere raggiunta da un Paese sotto attacco deponendo le armi, questa non sarebbe pace - ha detto ancora visibilmente emozionata ma occupazione». A ritirare il premio per Ales Byalyatski, l’attivista bielorusso per i diritti umani detenuto dal 2020 senza processo e in condizioni durissime, è stata la moglie Natalia Pinchuk che ha dedicato il premio «ai milioni di cittadini bielorussi che si sono sollevati e sono scesi in piazza o andati sulla Rete per difendere i diritti civili». «Questo mette in luce la situazione drammatica dei diritti umani nel nostro Paese», ha aggiunto Pinchuk che ha raccontato di aver potuto incontrare il marito solo una volta da quando, l’ottobre scorso, gli è stato conferito il Nobel.

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Infine il presidente di Memorial - la storica associazione creata nel 1989 per indagare sui crimini del regime sovietico e preservare la memoria delle vittime che è stata sciolta nel 2021 dalla magistratura russa - Ian Ratchinski ha denunciato le «ambizioni imperialiste» che la Russia di Putin ha ereditato dall’Urss, affermando che il presidente russo ha distorto il significato della lotta antifascista «per usarla per i propri interessi politici» equiparando «la resistenza alla Russia al fascismo» e creando così «una giustificazione ideologica alla guerra di aggressione folle e criminale contro l’Ucraina».