Sarebbe un errore liquidare l'ultimo scorcio di vita di Oriana Fallaci come una deviazione figlia dell'impazzimento di una persona gravemente malata e assediata da cupi fantasmi culturali. Come se il pamphlet islamofobo La Rabbia e l'orgoglio rappresentasse una cesura netta, una linea di demarcazione tra l'Oriana "buona" e quella "cattiva": da una parte la coraggiosa reporter, compagna del dissidente greco Panagoulis che denuncia gli orrori delle guerre e delle dittature e dall'altra la razzista inrancidita che lancia scomposti anatemi contro l'invasione dei barbari islamici e la loro «colonizzazione al contrario». Come un Salvini qualunque.Un grande scrittore è tale anche per la capacità che ha di incarnare lo spirito dei tempi, di riflettere e coagulare il grumo di pensieri e retropensieri inconfessati che poi tratteggiano le successive ideologie pubbliche. A volte lo fa dal lato "giusto" della Storia, altre incarnando semplicemente i suoi passaggi traumatici, diventando la cartina di tornasole della propria epoca, con i suoi slanci e le sue mortali contraddizioni. In rari casi riesce persino ad anticipare i conflitti e le fratture del futuro.Da questo punto di vista la Trilogia islamofoba, concepita di getto dopo l'attacco alle Torri gemelle dell'11 settembre 2001 sembra scritta l'altroieri. L'Eurabia (termine "rubato" alla storica israeliana Bat Ye'Or) evocata da Fallaci che punta il dito contro il Vecchio continente imbelle e in decadenza, pronto a genuflettersi di fronte al feroce Saladino, è uno spettro, ma anche una potente suggestione che nel corso degli anni ha caratterizzato la percezione corale della religione islamica. Gli attentati jihadisti, la radicalizzazione dei giovani nelle periferie delle grandi metropoli, la guerra al multiculturalismo, le ordinanze contro il burquini, il monitoraggio delle moschee, il clima di sospetto che circonda la comunità musulmana sono tutti elementi di un mosaico di cui Fallaci aveva già riunito le tessere. Poco importa se in un personalissimo esercizio di propaganda letteraria, poco importa se le sue visioni apocalittiche avessero poco a che vedere con una lucida analisi delle società europee. Quel materiale grezzo se usato da piccoli demagoghi per alimentare il proprio fondo di commercio elettorale è un triste patchwork di slogan, di razzismi ordinari, di conformismo plebeo. Ma nella prosa arroventata di Oriana Fallaci c'è qualcosa di profondo e vitale, il corpo a corpo contro l'Islam, lo spettrale Islam, è autentico e generoso, come lo è stato il suo mettersi in gioco. Anche se dalla parte "sbagliata".Magari non con la leggerezza e il distacco narrativo di un Michel Houellebecq che nel suo Soumission ipotizza un futuro distopico in cui l'Islam politico conquista il potere in modo democratico, senza spargimenti di sangue e guerre di potere, docilmente accolto dai cittadini che piano piano si abbandonano (sottomettono) ai suoi rassicuranti dettami.Oriana Fallaci è stata profetica anche nell'indicare i luoghi del conflitto: «In Francia il razzismo islamico cioè l'odio per i cani-infedeli regna sovrano e non viene mai processato, mai punito», scriveva ne La Forza della Ragione, sferrando un attacco senza precedenti contro la patria dei Diritti dell'Uomo - «collaborazionista fin dal medioevo»- e ai suoi blasonati intellettuali. Che definisce con ben poca indulgenza: «Queste creature patetiche, inutili, questi parassiti. Questi falsi sanculotti che vestiti da ideologi, giornalisti, scrittori, teologi, cardinali, attori, commentatori, puttane à la page, grilli canterini, giullari usi a leccare i piedi ai Khomeini e ai Pol Pot, dicono solo ciò che gli viene ordinato di dire. Ciò che gli serve a entrare o restare nel jet-set pseudo-intellettuale, a sfruttarne i vantaggi e i privilegi, a guadagnar soldi. Hanno rimpiazzato l'ideologia marxista con la viscida ipocrisia che in nome della Fraternité che predica il pacifismo a oltranza cioè ripudia perfino la guerra che abbiamo combattuto contro i nazifascismi di ieri, canta le lodi degli invasori e crucifigge i difensori».Gli attentati a Charlie Hebdo, la strage del Bataclan, il massacro sulla Promenade des anglais di Nizza, lo sgozzamento di padre Hamel nella chiesa di Saint-Etienne-du-Rouvray, non dimostrano come ipotizzava Fallaci che «Parigi sarà il Cavallo di Troia dell'Islam e la capitale di Eurabia», ma di sicuro fanno della Francia l'epicentro continentale del conflitto in corso. Le reazioni scomposte del governo francese all'emergenza jihad, l'instaurazione dello stato d'emergenza, la polizia dei costumi laici sguizagliata dai sindaci sulle spiagge della Costa azzurra, delineano un clima da guerra ideologica in cui laicità e religioni diventano dei paradossali "competitor" sul monopolio delle coscienze individuali. In questo schema salta in aria il modello di integrazione "assimilazionista" che la Francia ha promosso per oltre mezzo secolo, travolto dalla stessa paranoia delle sue classi dirigenti da anni a caccia di ombre islamiche e dal populismo razzista incarnato dall'ascesa del Front National di Marine Le Pen. In realtà a "tenere" è proprio il modello di integrazione più osteggiato da Fallaci e dai suoi epoigoni, quel multiculturalismo alla britannica che ha portato il musulmano di orgine pakistana Sadiq Kahn a diventare sindaco di Londra.