Teheran«Qui stiamo bene, ci conosciamo tutti. Ma cosa succederebbe se arrivassero quelli di Daesh (Isis, ndr)? Abbiamo paura di loro, ma per fortuna il nostro governo ci protegge». Le montagne al confine fra Iran e Turkmenistan distano solo cinque chilometri, una ventina di minuti in macchina su tornanti e strade sterrate dove le aquile volano talmente vicine da poter vedere i colori delle ali. Sembra di stare in un villaggio dei libri di Tolkien, qui a Qaleh, nella regione del Khorasan iraniano. Eppure anche questa vecchia signora che siede sulle rive del torrente, le cui acque azzurre sono sporcate da rifiuti ed escrementi di animali e persone, condivide con mezzo Medio Oriente il terrore per i jihadisti neri dell'autonominato Stato Islamico.«Vivo solo su questi monti e sto benissimo. Sono lontano sia dai terroristi che dai mullah» rincara la dose Haji Majid, un curdo kurmanji, l'unico abitante di una frazione isolata fra i monti sopra Qucham, una delle cittadine a maggioranza curda di questo spicchio di Iran nord-orientale. La città santa di Mashhad dista solo un'ora e mezza di autostrada. Là gli sciiti di tutto il Paese stanno continuando il loro pellegrinaggio alla tomba dell'Imam Reza, tappa dovuta nel mese di Muharram, quando gli sciiti commemorano l'uccisone di Hussein Alì, nipote di Maometto. Questo rito, l'Ashura, è un'occasione molto importante per rimarcare l'unione nella comunità sciita. Lo è ancora di più nel 2016, l'anno in cui l'Iran vede la fine dell'isolamento internazionale e l'occasione di accrescere la sua egemonia su tutto il Medio Oriente.«Qui c'è molta paura dell'Isis e quindi gli iraniani sono molto contenti dell'intervento in Siria e Iraq. Se Soleimani si fosse candidato alle elezioni contro Rohuani le avrebbe vinte senza problemi. A dirla tutta, in questo momento Soleimani potrebbe ottenere qualsiasi cosa volesse» riflette Babak, artista e attivista di Teheran. Qasem Soleimani è il generale maggiore delle Niru-ye Quds, le Brigate al-Quds (dal nome arabo di Gerusalemme), forze speciali delle Guardie della Rivoluzione che Khomeini creò per diffondere all'estero la sua Rivoluzione Islamica. Oggi i soldati scelti di Soleimani sono usati per gli interventi più importanti e più delicati fuori dai confini iraniani. Il governo di Rohuani e la Guida Suprema Ali Khamenei ne ammettono l'utilizzo - ma solo per «supporto logistico» - a sostegno di Damasco e Baghdad nella lotta ai «terroristi». Ma la realtà è un po' differente: «Fino a pochi giorni fa decine di martiri tornavano in patria. Gli iraniani però appoggiano questo interventismo, anche perché ha risvegliato il sentimento nazionalista che da sempre ci contraddistingue» commenta ancora Babak.Indicato più volte come possibile candidato per il fronte dei conservatori alle elezioni del prossimo nove maggio, Soleimani ha recentemente declinato l'offerta dicendo che farà il «soldato a vita». Tornano quindi in auge le azioni di Hassan Rohuani, presidente in carica e sicuro candidato del fronte riformista. Nel 2013 Rohuani, un clerico organico alla Rivoluzione sin dal primo momento ma anche un moderato con un passato negli Stati Uniti, ha incarnato la mediazione perfetta fra i più duri tra conservatori e Guardiani della Rivoluzione e i giovani che nel 2009 contestarono la rielezione dei Mahmoud Ahmadinejiad. A quattro anni di distanza Rohuani non scalda più di tanto i cuori né degli uni né degli altri, ma ha dalla sua un risultato fondamentale: la firma dell'accordo sul nucleare con le sei potenze occidentali.«L'Iran è a un bivio: o usciamo definitivamente dal nostro guscio o ci saremo fatti prendere in giro ancora una volta dagli occidentali» riflette Mohammed, imprenditore. «Il sistema economico è ancora chiuso - spiega - perché da un lato le sanzioni non sono state eliminate del tutto e dall'altro il governo non ci permette ancora di muoverci liberamente. Ma il fatto che sono proprio loro, governanti, pasdaran e imprenditori legati al governo, ad aver riportato per primi i capitali nel Paese, mentre finora li avevano investiti all'estero, ci fa pensare che il treno sia partito e non si possa fermare». Il destino politico di Rohuani, e in fin dei conti di tutto l'Iran, passa dall'effettiva messa in pratica dell'accordo sul nucleare entrato in vigore a gennaio. Finora solo una piccola parte delle sanzioni che dovevano essere rimosse non esistono più, mentre Europa e Stati Uniti stanno adottando misure diverse: la prima ne ha rimosso l'80%, i secondi solo il 20%. Un'empasse dovuta all'attesa di conoscere il nuovo inquilino della Casa Bianca (né Trump né Clinton sono ben visti a Teheran, ma la seconda garantirebbe almeno una discussione concreta) ma anche alla storica ambiguità dell'Occidente nei confronti del regime degli Ayatollah.In attesa di entrambe le elezioni, Teheran diventa sempre più grande e sempre più ambigua. La capitale continua ad accogliere persone dalle città di campagna e la soglia dei 20 milioni di abitanti non è lontana, tanto che i cantieri per i nuovi quartieri si espandono in qualsiasi direzione e i prezzi per le case più ricercate hanno raggiunto anche i 70mila euro al metro quadrato. Il timore - rimarcato anche dalla Guida Suprema - è che i ricchi diventino sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Una corsa alla modernità e al benessere che fa scivolare in secondo piano anche i dettami etici su cui è nata la Rivoluzione: «All'inizio le barbe e i vestiti delle donne erano lunghissimi e chi ci governava ha potuto fare quello che voleva. - dice Haji Majid - Adesso le barbe e i vestiti si sono accorciati, ma loro agiscono impuniti come allora».