Così multiforme e "nuovo" che i mediorientali faticano a decidere se Donald Trump piaccia o no. Il candidato repubblicano è nemico dichiarato dei musulmani, ma non è un fervido sostenitore della causa israeliana; dice di «fidarsi di Putin» ma bolla il principale alleato della Russia, l'Iran, come «il peggior nemico degli Usa»; è un misogino che non si fa problemi a parlare di sesso, scandalizzando i credenti più conservatori, ma si candida come «uomo solo al comando», come il turco Erdogan o l'egiziano al Sisi.L'Iran si gioca più di tutti. La preoccupazione principale di Teheran è salvaguardare l'accordo sul nucleare raggiunto con l'amministrazione Obama-Kerry, già ampiamente rimpianti. Trump ha indirizzato il primo dibattito proprio su quell'accordo, definendolo «uno dei peggiori nella storia d'America», ma sull'altro versante c'è Hillary Clinton, che da Segretario di Stato ha imposto le peggiori sanzioni di sempre all'Iran. «Trump potrebbe sembrare la peggior soluzione - spiega ad Al Monitor Nasser Hadian, docente di relazioni internazionali all'Università di Tehran - Ma allargando la visuale, potrebbe mettere a repentaglio l'autorità americana nel mondo e questo sarebbe un vantaggio per l'Iran».Nemmeno l'altra superpotenza regionale, l'Arabia Saudita, ha molto da gioire per i due candidati. Trump non perde occasione per sfoggiare la sua retorica anti-musulmani e accusare Ryhad di «spalleggiare i terroristi dell'Isis» e ha escluso l'Arabia Saudita dalla lista degli amici dell'America che comprende «Giordania, Israele ed Egitto». Di buono ci sarebbe che Trump è nemico dell'Iran ma al tempo stesso è vicino a Putin, diventato l'incubo della famiglia Sa'ud. Meglio sicuramente Hillary Clinton, sempre che si dimostri più propensa di Obama a difendere gli interessi sauditi.La discussione è accesa anche in Turchia, dove tutti i giornali filogovernativi si schierano con Trump. Una scelta da un lato sorprendente, dato che la svolta religiosa impressa da Erdogan mal si sposa con la islamofobia del miliardario newyorkese, dall'altro comprensibile se rapportata alla politica interna. È quello che fa Sabah, il più importante dei giornali legati all'esecutivo, con l'inchiesta sul «milione di dollari donati da Gülen alla Clinton per la sua campagna». La teoria di Sabah, ma anche di Gunese Turkiye altre due testate vicine a Erdogan, è che Clinton sarebbe la «rappresentante femminile» del fronte che comprende Obama, i gulenisti e la Cia, ossia coloro che avrebbero organizzato il presunto e fallito golpe di metà luglio e che starebbero lavorando per «realizzare microstati in Medio Oriente». Mentre Trump, il cui razzismo viene «esagerato» si è detto «rispettoso degli Stati esistenti (e quindi dei governi, ndr) » e «pronto a garantire la stabilità».Ma il dato più sorprendente viene da Israele dove un sondaggio del portale Walla ha reso noto che un israeliano su 4 voterebbe Trump. Il candidato è stato l'unico nella storia repubblicana a dichiararsi «neutrale» nella decennale questione palestinese, è inviso da tutta la comunità ebrea degli States e fra i supporter annovera quel David Duke, leader del Ku Klux Klan, che si aspetta che «Trump riabiliti Hitler». Nonostante questo Trump piace agli israeliani ultra-ortodossi e più conservatori perché è anti-musulmano e perché la figlia Ivanka si è convertita all'ebraismo. Un dato che la dice lunga sulla deriva della società israeliana, ma che non svela la posizione del premier Bibi Netanyahu, sospettato di essere un segreto fan di Trump. Memore dello sbaglio del 2012, quando rese pubblico il suo endorsement per Mitt Romney, poi sconfitto da Obama, Netanyahu sta seguendo alla lettera il consiglio di Alon Pinkas, diplomatico israeliano ed ex consigliere di Ehud Barak: «Fossi in Netanyahu starei in silenzio per qualche mese».