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FILE - Hamas fighters stand in formation ahead of a ceremony to hand over Israeli hostages to the Red Cross in Nuseirat, Gaza Strip, Feb. 22, 2025. (AP Photo/Abdel Kareem Hana, File) Associated Press / LaPresse Only italy and Spain
Anche se non indossano le fasce ufficiali delle Brigate al-Qassam, le milizie di Hamas sono tornate a quadrigliare lo strade di Gaza con piglio marziale. Volti coperti da passamontagna, berretti neri e kalashnikov alla mano, i militanti islamisti palestinesi sembrano di nuovo i padroni della Striscia, gestiscono la sicurezza e le operazioni di scambio di prigionieri. «Per il momento svolgeranno compiti di polizia», ha assicurato Donald Trump promettendo che presto i miliziani verranno disarmati e naturalmente saranno esclusi da qualsiasi forma di governo dell’enclave come ha preteso Benjamin Netanyahu.
Quando e da chi? Per ora non è dato saperlo. Intanto il movimento ha lanciato una campagna per riprendere terreno contro le milizie rivali che, con il sostegno esplicito di Israele, avevano beneficiato del vuoto di potere in questi due anni di guerra: sui social circolano dal alcuni giorni dei macabri video di esecuzioni in piazza di presunti “collaboratori”, uomini bendati giustiziati davanti alla folla come monito dai membri delle Brigate al-Qassam; il primo obiettivo è il clan Doghmush, i cui uomini pesantemente armati avevano occupato i locali abbandonati di un ospedale da campo giordano, trasformandoli in una roccaforte accanto alla loro base di Sabra. Hamas ha rivolto un appello ai gazawi che si erano uniti a bande di saccheggiatori — purché non macchiati di sangue — invitandoli a presentarsi entro il 19 ottobre per beneficiare di un’amnistia; nonostante la scadenza, però, i miliziani verdi non hanno aspettato e hanno colpito il bastione dei Doghmush, accusandoli di aver aggredito profughi tornati a sud della città e di aver ucciso il videomaker Saleh al-Jafarawi, ritrovato morto domenica.
Alcuni membri di questi clan avrebbero stretto relazioni con reti criminali, mercenarie e jihadiste e vengono accusati di costituire il nucleo di milizie minori finanziate, armate e addestrate dai servizi israeliani — insieme ad altri gruppi guidati da Ashraf al-Mansi e Yasser Abu Shabab — con l’obiettivo di creare discordia e sfiancare l’egemonia del movimento; a fine agosto il clan Abu Shabab (una milizia tribale che conta circa tremila membri) aveva pubblicato appelli ai volontari, offrendo uno stipendio mensile di 3.000 shekel (circa 800 euro). Dall’avvio del cessate il fuoco, questi gruppi si sono ritirati con l’esercito israeliano dietro la “linea gialla”, che delimita la metà di Gaza ancora spopolata e occupata, inclusi i bastioni di Rafah, l’est di Khan Yunis e le terre agricole; «Nessuno può entrare nella nostra zona, né il Hamas né i civili», si vantava domenica un comandante, Hossam al-Astal, alla televisione di Stato israeliana KAN.
La tesi che “gang e agenti legati a Israele” cerchino di innescare il caos per giustificare il protrarsi dell’occupazione o un intervento internazionale è sostenuta da analisti come Muhammad Shehada dell’ECFR, eppure la base dei Doghmush si trova in un’area “liberata”, a portata di tiro di Hamas; il clan, in un comunicato, ha ammesso «eccessi» nei pressi dell’ospedale ma ha anche accusato Hamas di colpire alla cieca.
Anche la rediviva Autorità nazionale palestinese (Anp) che spera d beneficiare degli accordi di pace e di tornare a governare la striscia denuncia le esecuzioni sommarie di Hamas in un comunicato dell’ufficio del presidente Mahmmoud Abbas (Abu Mazen): «Si tratta di crimini efferati che sono assolutamente inaccettabili in qualsiasi circostanza, parliamo di violazioni dei diritti umani e dello Stato di diritto che riflettono la determinazione di Hamas a imporre la propria autorità attraverso la forza e il terrore, in un momento in cui la popolazione di Gaza sta sopportando le difficoltà della guerra, della distruzione e dell’assedio».
Per Abu Mazen, «la legge è l’unico riferimento» e le e esecuzioni «minano l’unità del popolo palestinese e il suo tessuto sociale, compromettendo gli sforzi in corso per unificare le istituzioni dello Stato di Palestina sotto un’unica autorità legittima».