La notizia è per un verso un fulmine a ciel sereno, per un altro un evento atteso da molti. Nelle ultime ore si fa sempre più consistente l’ipotesi che la Corte penale internazionale possa emettere già in settimana un mandato d’arresto nei confronti del primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, per quanto avvenuto sulla Striscia di Gaza.

L’accusa, non ancora confermata e riportata dal quotidiano online “The Times of Israel”, sarebbe molto grave: aver fatto morire deliberatamente di fame i palestinesi di Gaza. Secondo il New York Times, la Corte penale internazionale intende perseguire le istituzioni civili e militari israeliane per aver impedito la consegna di aiuti umanitari sulla Striscia di Gaza e per «aver perseguito una risposta eccessivamente dura dopo gli attacchi del 7 ottobre, guidati da Hamas contro Israele». Le fonti, sempre richiamate dal NYT, parlano anche di mandati di arresto per i leader di Hamas che verrebbero notificati sempre dall’Aia.
Per la parte israeliana tutto sarebbe collegato ad un’indagine avviata tempo fa. Subito dopo gli eccidi del 7 ottobre 2023 e l’avvio della campagna militare sulla Striscia, incalzato dai giornalisti e sollecitato da numerosi osservatori, il procuratore della Cpi, Karim Khan, affermò che il suo ufficio era già al lavoro per valutare la possibilità di perseguire crimini commessi sul martoriato lembo di terra tra Israele ed Egitto. Nel dicembre scorso Khan ha visitato la regione, raggiungendo anche Rafa. In quella occasione parlò di indagini che stavano «andando avanti in maniera spedita, con rigore e con determinazione, considerato che la Cpi non agisce sulla base delle emozioni, ma su prove concrete».
Ora le indiscrezioni si fanno più consistenti. Tra gli accusati, oltre a Netanyahu, ci sarebbero anche i vertici militari con in testa il ministro della Difesa, Yoav Gallant, e il capo di stato maggiore dell’Israel defence forces, Herzi Halevi. Bibi Netanyahu nello scorso fine settimane ha affermato che qualsiasi provvedimento della Cpi non influenzerebbe minimamente i piani israeliani sul fronte di guerra a Gaza, ma al tempo stesso costituirebbe un «pericoloso precedente che minaccia i soldati e i funzionari di tutte le democrazie che combattono il terrorismo selvaggio e l’aggressione sfrenata».

A preoccupare i vertici istituzionali non sono le ripercussioni sul piano giudiziario – Israele non ha aderito allo Statuto di Roma che ha istituito la Corte penale internazionale -, ma quelle sul piano della reputazione su scala globale. Con l’istituzione del “gabinetto di guerra”, all’indomani della carneficina di Hamas, Netanyahu ha avviato una campagna militare volta ad estirpare da Gaza i terroristi fiancheggiati da Iran e Hezbollah. Adesso l’intollerabile accusa che verrebbe formulata dal solerte Karim Khan, un “magistrato paziente”, lo definisce chi lo conosce, “capace di aspettare”. Un colpo tremendo, nella prospettiva israeliana, per chi sostiene di doversi difendere con forza e determinazione per affermare il diritto all’esistenza ed evitare che si ripetano altri drammi da inserire nei libri di storia. Da qui anche le tante ore trascorse al telefono tra Bibi e il presidente statunitense Joe Biden nello scorso weekend.
Triestino Mariniello, ordinario diritto penale internazionale presso la “Liverpool John Moores University”, predica cautela. «Non c’è niente di ufficiale – dice al Dubbio il professor Mariniello -, si tratta soltanto di rumors. Sono notizie messe in giro da media israeliani probabilmente per ragioni politiche e, soprattutto, per spingere i Paesi alleati a fare pressione sul procuratore della Cpi, Karim Khan, e sui giudici quando questi dovessero ricevere una richiesta da parte degli uffici della Procura. La mancanza di notizie ufficiali, per il momento, non significa però che non ci siano indagini in corso. Prima o poi ci saranno alcune richieste di mandati di arresto anche contro israeliani. Questo è un dato di fatto. Quello che è difficile prevedere è chi saranno le persone, esponenti delle istituzioni o dell’apparato militare, contro le quali si agirà. Sarebbe preoccupante se qualcuno fosse a conoscenza di notizie riservate. La procedura di richiesta dei mandati di arresto presso la Cpi abbisogna della massima confidenzialità per evitare qualsiasi tipo di pressione».
Giuseppe Paccione, esperto di diritto internazionale, si sofferma sul ruolo della Cpi. «La Corte – afferma -, agendo come super partes, sta portando avanti le indagini sia sull’attacco del gruppo di Hamas del 7 ottobre, sia sull’attacco manu militari di Israele contro il territorio della Striscia di Gaza, controllato dal movimento stesso di Hamas. È noto che Israele non ha mai ratificato lo Statuto di Roma e come tale non ne riconosce la giurisdizione, rispetto ai territori palestinesi che, nel 2015, le autorità dell’OLP hanno ratificato. Il procuratore della Cpi ha asserito, alcuni mesi fa, che la Corte stessa ha giurisdizione su qualsiasi potenziale crimine di guerra commesso da entrambi i belligeranti. Tale crimine consiste in grave violazione delle leggi e degli usi di guerra, che toccano la comunità internazionale nel suo insieme, codificato sia nel diritto dell’Aia, che nel diritto di Ginevra. Gli Stati che ratificano lo Statuto di Roma sono nel dovere di arrestare e consegnare ai giudici della Corte gli individui-organi che sono ricercati e condannati per i gravi crimini, come quelli contro l’umanità, di guerra, di genocidio e di aggressione, che cadono sotto la sua giurisdizione. Chiunque, pertanto, riceva un mandato d’arresto non potrà viaggiare in Stati che hanno ratificato lo Statuto della Corte».