Continua feroce il dibattito in Israele dopo la condanna di Elor Azaria, il sergente ventenne che nel marzo scorso ha ucciso a freddo Abdel Fattah al Sharif, un coetaneo palestinese che aveva assaltato a colpi di coltello la sua pattuglia a Hebron, nei territori occupati della West Bank. In attesa che il 15 gennaio prossimo la Corte Militare renda nota l’entità della pena, continuano le manifestazioni di protesta dell’ultra- destra israeliana e si moltiplicano le richieste di grazia. Da destra e da sinistra: «Dovremmo prendere in seria considerazione l’ipotesi di graziarlo» ha detto la deputata Shelly Yacimovich del partito di opposizione Zionist Union, che cita un caso del 1984 quando due soldati israeliani furono graziati dopo aver fermato, interrogato e giustiziato due palestinesi che avevano dirottato un autobus. L’attuale leader del Likud, Isaac Herzog, non si discosta molto: «Non possiamo ignorare il contesto in cui i soldati operano tutto il giorno, tutti i giorni». Un altro vecchio leader della sinistra, Amir Peretz, invece, non fa sconti: «I soldati dovrebbero sapere che il codice etico non va mai abbandonato, nemmeno su un teatro difficile come quello della West Bank».

Da parte del governo non si è aspettata nemmeno la lettura della sentenza per invocare la grazia «immediata», come ha fatto il ministro dell’Educazione Naftali Bennet, mentre il ministro dello Sport e della Cultura Miri Regev ha sostenuto che il processo «non sarebbe dovuto nemmeno cominciare». L’eventuale grazia potrebbe essere concessa dal Capo dello Stato Reuven Rivlin o dal ministro della Difesa Avidgor Lieberman, che al tempo dell’incriminazione di Azaria fu tra i primi uomini politici a cavalcare il caso al fianco del soldato. Bibi Netanyahu invece definì quello di Azaria «un gesto che non rende onore all’esercito israeliano», mentre oggi il primo ministro è fra i primi a chiederne la grazia.

Azaria è stato condannato per omicidio per aver sparato alla testa del giovane palestinese, già agonizzante a tre metri di distanza per i colpi ricevuti dagli altri soldati. Nella lunga sentenza con cui i tre giudici della Corte Militare di Tel Aviv ( la cui presidente Maya Heller è stata minacciata di morte su Facebook) hanno chiuso un processo di otto mesi, si legge che «è stato provato oltre ogni ragionevole dubbio» che Azaria voleva uccidere Fattah al Sharif. «Nel Codice Penale c’è scritto che una persona che causa la morte di un’altra tramite un atto criminale compiuto per metterla in pericolo, è colpevole di omicidio. E c’è il precedente del “processo Subah”. In questo caso è innegabile che l’accusato ha puntato la pistola alla testa della vittima e ha sparato, ben consapevole del fatto che avrebbe potuto ucciderlo». La corte è passata poi a smontare i tasselli della linea difensiva: «Né la morte per tensione pneumotoracica, né per arresto cardiaco sono sostenibili. Le perizie dei dottori hanno indicato la causa nel proiettile in testa». Cadono anche le attenuanti: «La versione della difesa, peraltro più volte cambiata in maniera contraddittoria, non regge alla prova dei fatti, ripresi da una telecamera, né alle testimonianze oculari dei colleghi, secondo i quali Azaria ha detto ‘ questo terrorista merita di morire’ sebbene non rappresentasse più un pericolo in alcun modo».

Nessuna cintura esplosiva, nessun gesto eroico per salvare i colleghi. La storia di Azaria è una delle tante decine che gli attivisti denunciano ogni anno. A differenza di quasi tutte le altre, questa è arrivata a processo, perché un militante dell’associazione B’Teselem l’ha filmata e messa on line e perché il capo di Stato maggiore dell’esercito israeliano Gadi Eisenkot ha difeso il processo dato che «nell’esercito non ci sono figli di papà in preda a reazioni emotive, ma soldati che come tali devono comportarsi». Visto il clima e il reato per cui è stato condannato, Azaria non dovrebbe rischiare il carcere, o almeno non per lungo tempo: «Non ci illudiamo, è chiaro che avrà una condanna leggera o verrà perdonato» ha detto ieri Fathi al- Sharif, zio di Abdel.