«Sì, è un obiettore, come lo sono tutti i medici del reparto, ma questo è ininfluente. L'obiezione si applica solo nei casi in cui c'è interruzione volontaria della gravidanza e nel caso di Valentina Milluzzo non è andata così». Angelo Pellicanò, direttore generale del Cannizzaro di Catania, si schiera in difesa dei suoi medici, dodici dei quali ora sono sul registro degli indagati della procura di Catania. Al centro della vicenda la morte di una 32enne di Palagonia, il 16 ottobre scorso, dopo 17 giorni di ricovero, a causa delle complicazioni nel corso del quinto mese di gravidanza indotta con la procreazione assistita, poco dopo la morte dei gemelli che aveva in grembo per complicazioni. A puntare il dito contro i medici del Cannizzaro è l'avvocato Salvatore Catania Milluzzo, legale della famiglia della giovane, secondo il quale il medico che stava assistendo Valentina si sarebbe rifiutato di intervenire poiché obiettore di coscienza. Pellicanò non ci sta: «l'obiezione di coscienza - ha dichiarato a Il Dubbio - non ha a che vedere con questo caso. Secondo la legge 194 del 1978, i medici obiettori possono rifiutare di intervenire quando una donna vuole sottoporsi ad un'interruzione di gravidanza. Ma non è questo il caso: c'era un intervento urgente da fare, un aborto terapeutico che non prevede l'obiezione, tant'è che ha fatto nascere i due bambini. È evidente che non si è rifiutato di intervenire». La magistratura ha intanto iscritto il nome di dodici medici sul registro degli indagati, ipotizzando il reato di omicidio colposo plurimo. Un atto dovuto, data la denuncia dei familiari della donna, nei confronti di tutti i medici in servizio nel reparto ad eccezione del primario, Paolo Scollo, e dell'assistente Emilio Lomeo, che erano assenti. La versione dei familiari, al momento, non trova riscontri in cartella clinica. Secondo l'avvocato Catania Milluzzo, il 15 ottobre è emerso «che uno dei feti respira male e che bisognava intervenire, ma il medico di turno si sarebbe rifiutato perché obiettore: "fino a che è vivo io non intervengo", avrebbe detto loro». Stesso rifiuto per il secondo feto, secondo il legale: «lo avrebbe fatto espellere soltanto dopo che il cuore avesse cessato di battere perché lui era un obiettore di coscienza». ¿Pellicanò, sul punto, non si sbottona: «non ero lì, non so cosa sia stato detto». Ma è pronto a giurare che la vicenda non sia andata come descritto dalla famiglia. «Nel caso di Valentina è intervenuto uno choc settico e in 12 ore la situazione è precipitata», ha aggiunto. Quella di Valentina Milluzzo, dunque, era una «gravidanza a rischio».A raccontare una versione diversa sono il marito e la madre della donna, secondo i quali la donna è rimasta in uno stato di sofferenza fino alle tre del pomeriggio e in seguito sottoposta ad ecografia. Solo un successivo esame ha poi evidenziato la condizione dei feti. Secondo i familiari presenti, scrive Milluzzo nell'esposto, il medico si sarebbe rifiutato di intervenire prima che i cuori dei feti smettessero di battere. «E in effetti - scrive - il primo bimbo viene fatto vedere alla madre ormai privo di vita. Il secondo esce dal grembo spontaneamente alcune ore dopo, anch'esso morto ma non viene mostrato alla signora». In piena notte, tra il 15 e il 16 ottobre, a causa di un'infezione la donna è stata trasferita in rianimazione, dove ha smesso di respirare alle 14. «Il medico ha indotto il secondo aborto con l'ossitocina, quindi non c'è proprio la base per parlare di obiezione di coscienza - ha dichiarato all'Ansa il primario Scollo -. Quando c'è bisogno di un intervento urgente per un caso come quella della paziente si interviene e basta. Non c'entra niente essere obiettori o meno, in quel caso siamo soltanto medici e dobbiamo intervenire per salvare vite».