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Nel ghiaccio già sottile sul quale si muove il governo si stanno aprendo due crepe. Più precisamente, si sta allargando rapidamente una già nota e se ne sta aggiungendo una seconda, meno vistosa, al momento anzi quasi invisibile, e tuttavia forse ancor più esiziale. Se la prima incrinatura è il rapido declino delle speranze riposte nella nascita di una vera maggioranza politica, la seconda è la delusione che nei confronti del governo starebbe prendendo sempre più piede al Quirinale. Sia chiaro: non c'è nulla di esplicito in questa crescente disaffezione, neppure una sillaba.
Si tratta piuttosto di sensazioni riportate da chi ha avuto modo di affrontare l’argomento col capo dello Stato, di umori che si percepiscono tra le righe parlando con lo staff del presidente, di accenni prudentissimi. Tuttavia questi segnali sono univoci; vanno nella stessa direzione; dicono tutti che Mattarella, senza la cui copertura il secondo governo Conte non sarebbe mai nato, inizia a chiedersi se la scommessa non sia già persa. In concreto se un governo nato per riportare la situazione politica del Paese nell’alveo di un confronto rasserenato e normalizzato non stia sortendo l’effetto contrario moltiplicando quei sintomi di destabilizzazione che avrebbe dovuto al contrario disinnescare.
Se Mattarella dovesse definitivamente convincersi che le cose stanno così e che la sfida del secondo governo Conte è ormai persa, la sorte dell'esecutivo sarebbe segnata in tempi brevi, forse brevissimi. E’ probabile che a determinare la crescente disillusione non siano solo le continue tensioni nel governo e nella maggioranza, quanto la sensazione che oltre quelle tensioni devastanti non ci sia, né prometta di esserci, altro.
In questo senso, l’insoddisfazione del Colle e quella del Nazareno sono in realtà molto simili, se non del tutto coincidenti. Per dirla chiaramente: un governo nato per ventura e per paura, poteva avere senso solo se l’incontro casuale si fosse poi trasformato, sia pure lentamente e con tutte le evidenti difficoltà, in quel che fingeva di essere, cioè in un’alleanza politica strategica.
Ebbene, in meno di tre mesi quell’orizzonte si è rivelato un miraggio. Non tutte le speranze sono perse, né sul Colle né al Nazareno, ma è già quasi così e il fallimento dell’ ' operazione Grillo' tentata dal fondatore del M5S nello scorso week end, rappresenta, da questo punto di vista, una cesura.
Per capire quanto il Pd ci avesse sperato bisogna stare attenti ai toni di profonda delusione e quasi disillusione che campeggiano da 48 ore nelle parole di qualsiasi esponente del Pd che affronti la spinosa faccenda. La speranza aveva un nome preciso: Beppe Grillo. Era stato lui, in agosto, a risolvere sbrigativamente e d’autorità la situazione indirizzando un M5S diviso verso l’intesa con il Pd. Era tutto sommato lecito, dunque, puntare su un nuovo intervento del Fondatore e garante per riportare il Movimento all’ordine, o più concretamente a una più serena convergenza con il Pd.
Grillo ci ha provato. Si è precipitato a Roma. Ha incontrato un Di Maio a sua volta tornato di corsa nella Capitale dalla Sicilia. Gli ha confermato piena fiducia, quella fiducia nel leader che invece parecchi parlamentari a cinque stelle hanno perso, e già questo non era quel che il Pd auspicava e si attendeva.
In compenso, però, il padre fondatore ha confermato la rotta. Barra a sinistra: con il Pd si possono fare ' cose bellissime'. L’illusione non è andata oltre lo spazio di un week- end. Con la nuova settimana sono riprese anche le ostilità. A breve su due punti chiave, entrambi molto più determinanti dei duelli degni di miglior causa come le minuzie della manovra. I due oggetti delle contese attuali, la riforma europea del Mes, cioè il Fondo Salvastati, e quella italiana della giustizia tutto sono tranne che minuzie.
Su entrambi i fronti i due partiti principali della maggioranza hanno ripreso le armi proprio mentre esplodeva una nuova potenzialmente devastante crisi tra i 5S e Iv sui finanziamenti di Renzi. In questa situazione, ulteriormente aggravata dalla spaccatura clamorosa degli europarlamentari 5S nel voto sulla nuova Commissione europea, è difficile, pur se sulla carta non ancora impossibile, che il Movimento tutto segua l’indicazione di Grillo e scelga quell’alleanza in Emilia- Romagna che Di Maio ha già escluso e senza la quale parlare di un futuro comune per l’attuale coalizione di governo suonerebbe come discutere della festa di nozze nello studio di un divorzista.
Nelle prossime settimane, con il fiato del 12 e 26 gennaio ( date rispettivamente della scadenza dei termini per la richiesta di referendum sul taglio dei parlamentari e delle elezioni in Emilia e Calabria) il capo dello Stato osserverà il quadro politico con massima attenzione. Se si convincerà definitivamente dell'impossibilità di andare avanti senza recare danno invece che vantaggio al Paese, una situazione già fragilissima arriverà al punto di rottura.