«E non è colpa mia/né di dove ero/né di cosa indossavo: lo stupratore sei tu». L’inno intonato dalle donne cilene durante le proteste del 2019 ora bussa alla porta di Ignazio La Russa, dalla scorsa notte bersaglio esplicito del movimento femminista e transfemminista Non una di Meno di Milano. Esplicito come può sembrare il manifesto affisso in giro per la città con i volti del presidente del Senato e di suo figlio Leonardo Apache, che risultano riconoscibili seppure coperti da alcune strisce di testo: “el violador eres tu” (lo stupratore sei tu), si legge; “i loro soldi al sistema centri antiviolenza patriarcale”; “sorella, noi ti crediamo”.

I poster sono spuntati accanto allo studio legale di famiglia, nei pressi dei locali notturni di corso Como, e anche all’Apophis club di via Merlo, la discoteca del centro di Milano dove La Russa Jr avrebbe incontrato la ragazza che lo ha denunciato per violenza sessuale. Un messaggio chiaro, insomma, nel quale si può comunque scavare un po’. “Vogliamo cacciare La Russa da ogni incarico pubblico, vogliamo chiusi i locali della famiglia e lo studio legale su cui si fonda il loro potere economico e politico, vogliamo requisiti i loro soldi affinché siano devoluti ai centri antiviolenza”, spiega il Movimento rivendicando l’azione di protesta. Che punta il dito contro “gli interessi economici e di potere della famiglia La Russa a Milano”. Ma anche contro la “vittimizzazione secondaria della sopravvivente se a stuprare è un rampollo”.

Ecco il primo punto: Leonardo Apache non è un semplice indagato, è un simbolo. Perché difendere lui - suggerisce il testo - significa difendere un sistema di potere e impunità. Dunque il vero bersaglio politico è il presidente del Senato, il quale dovrà rispondere delle sue azioni, o meglio delle sue dichiarazioni, quando dice - come ha detto - che «lascia oggettivamente molti dubbi il racconto di una ragazza che, per sua stessa ammissione, aveva consumato cocaina prima di incontrare mio figlio». E ancora: «Lascia molti interrogativi una denuncia presentata dopo quaranta giorni…»; «dopo averlo a lungo interrogato, ho la certezza che mio figlio Leonardo non abbia compiuto alcun atto penalmente rilevante». Parole di un padre? Magari. Ma soprattutto parole pronunciate dalla seconda carica dello Stato, che incidentalmente è anche un avvocato.

E qui veniamo al secondo punto. Svilire una donna che denuncia, sminuendone la credibilità, rientra a pieno titolo tra le pratiche degradanti messe in atto dalla notte dei tempi nei processi per stupro. Ignazio La Russa dovrebbe certamente saperlo: sul banco degli imputati non può finirci la vittima. Che in questo caso è presunta, come Leonardo Apache è innocente fino a prova contraria. Un dettaglio non irrilevante, che questa volta sembra sfuggire a chi indirizza il messaggio: la faccia di un ragazzino, che al momento non è neanche sotto processo, è affiancata a un verdetto troppo brutale per essere affidato a un volantino. Può spingersi a tanto un’azione politica?

Il rischio è non soltanto di barattare la dignità di qualcuno per una causa giusta. Ma anche di vanificare quella causa, e depotenziare quel canto cileno che dal Sud America aveva raggiunto l’Europa, diventando virale. Le donne erano scese in piazza con una benda sugli occhi per scatenarsi in un ballo liberatorio e denunciare la violenza istituzionale contro le donne: da parte dello Stato, delle forze dell’ordine e anche dei giudici, quando si rifiutano di riconoscere la violenza colpevolizzando le donne. Secondo la teoria della scrittrice argentina Rita Segato: «Lo stupro non si basa sul desiderio sessuale, non è la libido incontrollata e bisognosa degli uomini, non è questo perché non è nemmeno un atto sessuale, è un atto del potere, di dominio, è un atto politico».