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Non è stato un fallimento perché lo spiraglio diplomatico rimane aperto, però i negoziati di Doha per fermare la guerra nella striscia di Gaza, liberare gli ostaggi ed evitare la risposta iraniana contro Israele non hanno segnato progressi sostanziali.
Buone sensazioni, un clima «costruttivo», una sincera volontà di trovare un punto di incontro come hanno sottolineato i mediatori di Qatar, Egitto e soprattutto degli Stati Uniti, ma l’accordo sembra ancora lontano. In particolare agli esponenti di Hamas contrari al mantenimento delle truppe dell’Idf lungo la frontiera con l’Egitto come prevede la bozza dell’accordo che non è riuscito a «colmare le differenze» come nel pomeriggio evocavano i negoziatori: «Gli Usa hanno creato un’atmosfera falsamente positiva, ma noi non accetteremo altro che un cessate il fuoco completo, un ritiro completo delle truppe israeliane dalla Striscia, il ritorno degli sfollati, questi sono i punti per un intesa per lo scambio di prigionieri» ha detto seccamente all’Afp Sami Abu Zuhri, dirigente del movimento islamista palestinese.
Ai negoziati stanno prendendo parte anche il capo della Cia, William Burns, il numero uno dell'intelligence egiziana Abbas Kamel e il primo ministro del Qatar, Mohammed bin Abdulrahman bin Jassim Al-Thani.
Secondo fonti di Doha le discussioni si sarebbero incentrate su un accordo prevede sei settimane di cessate il fuoco nella Striscia di Gaza con il ritiro delle forze israeliane da alcune aree in cambio del rilascio di alcuni ostaggi. Tutti i termini generali dell’accordo «sono sul tavolo» e mancherebbero soli i «dettagli della sua attuazione», dettagli che però rischiano di far naufragare l’intera trattativa. L’ufficio del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu che ha apprezzamento per gli sforzi compiuti dagli Stati Uniti e da altri mediatori nel tentativo di convincere Hamas ad accettare i termini dell’intesa invita Washighton, il Cairo e Doha a continuare il pressing sulla leadership palestinese.
La situazione è dunque ancora interlocutoria e sospesa, ma solo per pochi giorni. Già da lunedì riprenderanno i colloqui tra le parti con le delegazioni che si incontreranno al Cairo nella speranza di ammorbidire il movimento islamista. E nonostante la giornata si sia conclusa con un sostanziale stallo, il presidente Usa Joe Biden continua a sbandierare un palese ottimismo per l’ultimo round: «Non siamo ancora alla fine e non vorrei portare sfortuna ma non siamo mai stati così vicini all’accordo», precisa l’inquilino della Casa Bianca.
Strettamente legata ai negoziati è la partita iraniana e l’annunciato attacco di Teheran contro lo Stato ebraico. Su questo punto è intervenuto il premier e ministro degli Esteri del Qatar, Mohammed bin Abdulrahman Al Thani, il quale ha chiesto espressamente all’Iran di evitare la risposta all’uccisione dell’ormai ex capo politico di Hamas Ismail Haniyeh avvenuta sul suo territorio. È quanto hanno riferito al Washington Post due diplomatici a conoscenza dei contenuti del colloquio tra Al Thani e il ministro degli Esteri di Teheran, Ali Bagheri Kani.
Al Thani ha «esortato l’Iran alla de-escalation e ha sottolineato la necessità di mantenere la calma». Il leader qatariota ha messo poi in guardia la Repubblica Islamica, e suoi proxy di Hezbollah nel sud Libano e i milizianio houti in Yemen, suggerendo di considerare le conseguenze gravi di un attacco militare che potrebbe innescare un conflitto diretto e devastante tra la Repubblica sciita, Israele e i suoi alleati. Da giorni Teheran parla di risposta militare ma allo stesso tempo ha fatto sapere tramite più canali diplomatici che il raggiungimento della tregua nella Striscia potrebbe convincerla a desistere.
A Gaza le operazioni militari vannno avanti: l’Idf ha emesso un nuovo ordine di evacuazione ai palestinesi dell’area di Beit Hanoun, nel nord della Striscia, a cui hanno chiesto di dirigersi verso «rifugi nel centro di Gaza City». Lo si apprende da una nota diffusa su X dal portavoce delle Idf in lingua araba, Avichay Adraee, che contiene un elenco delle zone che devono essere evacuate.
Intanto in Israele è scoppiato il caso coloni in seguito al sanguinoso e immotivato attacco da parte di qualche centinaio di settlers in Cisgiordania che ha provocato un morto e un ferito grave tra i palestinesi. Una spedizione punitiva contro famiglie di civili inermi che ha suscitato sdegno tra tutti gli alleati dello Stato ebraico e anche tra diversi leader israeliani che sostengono l’esecutivo. L'episodio è avvenuto nel villaggio di Jit. A perdere la vita è stato un palestinese di 23 anni.
Gli Usa hanno definito l'accaduto come una «violenza inaccettabile». Ma le parole più dure e in un certo senso sconvolgenti, le ha pronunciate il presidente Isaac Herzog che ha parlato apertamente di «pogrom» contro la popolazione palestinese, termine che per la cultura e la storia ebraica ha un significato profondo e drammatico. È in questo modo infatti che vengono definite nella storia le stragi antisemite, dagli assalti dei romani Alessandria contro gli ebrei nel 38 d.c. fino ai massacri di Hamas del 7 ottobre.