In teoria sarebbe chiusa. Invece la riforma Cartabia pare di nuovo “sotto tiro”, ora che il Senato sta per esaminare il decreto con cui il governo ne ha rinviato l’entrata in vigore. «Ma in fase emendativa, se non ci si vuole esporre a pronunce di incostituzionalità, si dovrebbe intervenire solo con disposizioni transitorie e di natura organizzativa», spiega Gian Luigi Gatta, ordinario di Diritto penale all’Università degli Studi di Milano che è stato consigliere della ministra Cartabia e vicepresidente della Commissione Lattanzi.

La riforma può essere rimessa in discussione?

Non si tratta di mettervi mano, ma di prepararne il varo. Il grido di dolore della magistratura non mirava a riscrivere la riforma. Sollecitava solo circoscritte disposizioni transitorie e interventi organizzativi. Se ne ha conferma leggendo la lettera dell’Assemblea dei Procuratori generali italiani e i comunicati dell’Anm. Se questa è la premessa del rinvio, che personalmente non ho condiviso perché integrale, penso che da qui si debba riprendere il filo del percorso riformatore, atteso non solo dall’Europa, ma da tanti magistrati, avvocati e cittadini.

Quindi i margini, per il Parlamento, sono limitati?

L’auspicio è che le settimane che ci separano dall’entrata in vigore della riforma della giustizia penale, la più vasta e trasversale degli ultimi trent’anni, possano essere sfruttate per assicurarne una pronta ed efficace applicazione: penso agli interventi organizzativi, da parte degli uffici giudiziari, del Csm e del ministero, alla formazione professionale, grazie al fiorire di iniziative da parte della Scuola superiore della magistratura, del Cnf, delle Camere penali, degli Ordini forensi e delle università, e penso, infine, ad alcuni, circoscritti, interventi normativi in sede di conversione. A ulteriori norme transitorie, in particolare, la cui previsione può essere ragionevole e aiutare il processo di attuazione. Lo sforzo che attende gli uffici giudiziari è notevole e va supportato, per il bene del servizio giustizia e della riforma alla quale in tanti, dall’attuale viceministro Sisto agli addetti all’Ufficio legislativo e al Gabinetto, ai circa 80 tra professori, magistrati e avvocati coinvolti in commissioni, abbiamo lavorato, per 20 lunghi mesi, in via Arenula, sotto la sapiente guida della ministra Cartabia, capace di faticose e difficili mediazioni tra portatori di sensibilità e interessi diversi.

E se invece si decidesse di incidere, per esempio, sulle pene alternative? Chi può vietare di farlo?

Il perimetro degli emendamenti, in sede di conversione del decreto 162, è tracciato dai regolamenti parlamentari e dalla giurisprudenza costituzionale. La legge di conversione è “una legge funzionalizzata e specializzata” ( sent. 226/ 2019, rel. Zanon), che “non può aprirsi a qualsiasi contenuto ulteriore” rispetto al decreto legge ( sent. 32/ 2014, rel. Cartabia). Essa ammette solo “disposizioni omogenee per la materia o per lo scopo” ( sent. 22/ 2012, rel. Silvestri). Il regolamento della Camera ( art. 96- bis, co. 7), su questa linea, stabilisce che “il Presidente dichiara inammissibili gli emendamenti e gli articoli aggiuntivi che non siano strettamente attinenti alla materia del decreto- legge”.

Il limite entro il quale il Parlamento potrà emendare il decreto, per non incorrere in un vizio procedurale, rilevabile in sede di promulgazione da parte del presidente della Repubblica o che può comportare una pronuncia di illegittimità costituzionale, è insomma quello della omogeneità rispetto all’oggetto e allo scopo. Ciò, secondo la Consulta, vale anche nel caso di decreti legge “a contenuto plurimo”, come quello di specie ( sent. 32/ 2014). Nel nostro caso l’oggetto è circoscritto a un mero differimento dell’entrata in vigore di un provvedimento normativo. La finalità, esplicitata nelle premesse del decreto, è di “consentire una più razionale programmazione degli interventi organizzativi di supporto della riforma”.

A me pare pertanto che in sede di conversione siano ammissibili solo interventi del genere di quelli auspicati dalla magistratura: disposizioni transitorie e interventi organizzativi di supporto. È significativo segnalare che la citata sentenza 22/ 2012 della Corte costituzionale riguardò un decreto milleproroghe e, con una dichiarazione di illegittimità costituzionale, limitò in via di principio l’ammissibilità degli emendamenti in sede di conversione a interventi regolatori di natura temporale, con esclusione di quelli estranei a questo scopo.

In fondo, la sintesi fra garanzie ed efficienza, a cui la riforma sembra tendere, coincide con gli obiettivi di Nordio. O non è così?

La riforma persegue due obiettivi che il ministro Nordio ha mostrato di condividere e che non dubito condivida anche la presidente Meloni: l’efficienza del processo e la certezza della pena, nel quadro delle garanzie del giusto processo. Sì, anche la certezza della pena, per due motivi.

In primo luogo, perché le pene sostitutive applicabili nel giudizio di cognizione, come nel progetto Nordio, sono immediatamente esecutive ed evitano la sospensione dell’ordine di carcerazione e il fenomeno dei condannati in libertà con pene inferiori ai 4 anni, i cosiddetti liberi sospesi. In secondo luogo, perché per la prima volta si restituisce effettività e certezza alla pena pecuniaria, prevedendo la conversione in pene limitative della libertà personale in caso di mancato pagamento colpevole, e non solo per insolvibilità. Se non è certezza della pena questa…