Un’ondata di bandiere blu e stelle dorate ieri ha avvolto tutte le sedi italiane di Cgil Cisl Uil. L’esposizione della bandiera dell’Europa rappresenta una iniziativa voluta dalle organizzazioni sindacali per dare un “segno di forte identità europeista” e ritrovare le ragioni dell’appartenenza europea. Una iniziativa d’impatto non solo visivo quella lanciata nella data simbolo del 21 marzo, giorno in cui la Chiesa celebra San Benedetto da Norcia, patrono d’Europa, che terminerà il prossimo 26 maggio giornata delle elezioni Europee.

Un impegno forte, dunque, a sostegno di un’Unione Europea basata sui diritti, sul lavoro e sulla solidarietà. Contribuiti e proposte che la Cisl ha da tempo sintetizzato nel Manifesto per l’Europa presentato più di un anno e mezzo fa. “Mai come ora l’Europa ha bisogno dell’Italia, è necessario promuovere un manifesto di tutte le parti sociali e presentarlo al Governo su come vorremmo cambiasse l’Europa per rafforzarla e sull’importanza del welfare sociale”. Idee chiare quelle espresse dalla Segretaria generale della Cisl, Annamaria Furlan, intervenuta al seminario su “Welfare europeo e solidarietà sociale” promosso dal Coordinamento delle Attività Inter-nazionali della Cisl, guidato da Nino Sorgi, e tredicesimo incontro di un ciclo di appuntamenti in cui l’organizzazione approfondisce temi di attualità internazionale. Furlan sottolinea come le “politiche internazionali non sono secondarie rispetto alle altre azioni svolte dalla Cisl. Ecco perché occorre una partecipazione attiva su questi temi dentro e fuori dall’organizzazione”.

Una convinzione, quella cislina sull’appartenenza europea, ribadita anche in questa occasione dalla Segretaria generale Cisl: “e’ giusto esporre la bandiera europea nelle sedi del sindacato, il nostro è un contributo fondamentale per spiegare alla gente perché è necessario puntare alla costruzione degli Stati Uniti d’Europa. E’ una scelta di convivenza”. Ma non solo. Per la leader della Cisl è necessario “fare più Europa anche dentro le organizzazioni sindacali internazionali, a partire dalla Ces, per superare i limiti troppo nazionalistici, cambiare anche il sistema fiscale e puntare sempre di più sulla contrattazione. Rendere più forte il sindacato europeo vuol dire favorire di più anche la nostra rappresentanza”.

Un percorso complesso come evidenziato durante l’incontro anche dal Presidente del Cnel Tiziano Treu che individua “nell’asimmetria tra modello economico e modello sociale” il limite del modello Europa ed è proprio su questo che sollecita ad agire. Lo stimolo del Presidente del Cnel alle parti sociali è ad andare in proprio in questa direzione: “il problema è che nell’Unione i sindacati e le imprese sono ancora troppo nazionali e poco europei. Basti pensare ai contratti transnazionali, una risposta concreta ma ancora troppo pochi e quelli realizzati sono fatti da multinazionali e, quindi, nella loro ottica”. La proposta di Treu è quella di lavorare per un “Social Compact” in cui far convergere grandi progetti europei dall’economia all’innovazione ed occupazione, alle reti digitali ed infrastrutture alla formazione e sviluppo delle competenze – per rilanciare lo sviluppo ed abbattere le disuguaglianze. Un ragionamento che si completa guardando al salario minimo e alle sue declinazioni. “Il salario minimo c’è in tutti i Paesi ed è bene che se ne discuta in Italia – spiega ancora Treu – ma prima viene la governance cioè la contrattazione erga omnes, almeno per la parte salariale e il contrasto dei contratti pirata. Si tratta però di passaggi che vanno negoziati attraverso un profondo coinvolgimento con le parti sociali, non possono essere stabiliti per legge, Sul medio termine bisogna però investire sulla formazione e l’innalzamento delle competenze”. Una tappa evolutiva necessaria come pure evidenziato dal Presidente della Fondazione Tarantelli – Centro Studi, Ricerca e Formazione Giuseppe Gallo che porta ad esempio il salario minimo del Lussemburgo, pari ad oltre 2mila euro, a quello della Bulgaria di poche centinaia di euro: due estremi che ben rappresentano quanto ci sia ancora da lavorare in Europa nella direzione di un’economia comune a politiche sociali comuni.