Il premier Sébastien Lecornu ha ottenuto la “fiducia” dell’Assemblea Nazionale e si prepara ora alla battaglia parlamentare sul Bilancio. L’aula ha respinto entrambe le mozioni di censura presentate da La France Insoumise e dal Rassemblement National: nessuna delle due ha raggiunto i 289 voti necessari per far cadere il governo, fermandosi rispettivamente a 271 e 144. Decisiva, per l’esecutivo, la scelta dei Socialisti di non votare contro, dopo che Lecornu aveva annunciato il rinvio della contestatissima riforma delle pensioni — simbolo del macronismo — approvata nel 2023 senza voto parlamentare e ora accantonata per garantire la sopravvivenza politica del governo.

L’esame del progetto di legge finanziaria dovrebbe iniziare il 24 ottobre. Dopo le audizioni della Commissione Finanze, che aprirà i lavori lunedì 20 ottobre alle 9, il testo approderà in aula venerdì 24 alle 15. Poco prima del voto, Lecornu aveva parlato di un “momento di verità tra l’ordine repubblicano e il disordine”, invitando i deputati a non “tenere in ostaggio il bilancio”. Ma, superato lo scoglio della sfiducia, è proprio sull’approvazione della manovra che si apre il fronte più incerto.

Il ministro ha promesso di non ricorrere all’articolo 49.3 della Costituzione — la procedura che consente l’adozione di una legge senza voto parlamentare, salvo mozione di censura —, un meccanismo usato per tutti i bilanci dal 2022. La rinuncia a questo strumento trasforma l’Assemblea in un vero campo di battaglia, dove ogni misura dovrà essere negoziata fino all’ultimo comma.

La sinistra radicale — Insoumis, Ecologisti e Comunisti — definisce “inaccettabili” i tagli previsti dal testo. I Socialisti promettono di “correggere un bilancio ingiusto e recessivo” e di strappare nuove concessioni al governo. “Combatteremo per proteggere i francesi, passo dopo passo, articolo dopo articolo, emendamento dopo emendamento”, assicura Jean-Philippe Tanguy del Rassemblement National. Nel frattempo, il blocco macronista appare diviso, e la destra moderata dei Repubblicani continua a consumarsi in faide interne che rischiano di pesare sulla tenuta dell’esecutivo.