Francesca e Giovanni è un grande racconto d’amore, che va ben oltre la storia dei due magistrati che vissero e morirono insieme sognando una Sicilia finalmente libera dallo strapotere delle cosche.

Il film che Ricky Tognazzi firma con Simona Izzo è la summa della loro passione civile. Francesca Morvillo crede nella redenzione dal crimine già quando, nel 1979, si batte per una giustizia minorile diversa, nel tentativo di strappare un ex alunno a un destino criminale che sembrava già scritto.

La capacità di guardare nel profondo ogni persona restando integra, le veniva dal padre, perso precocemente e dagli anni del volontariato come insegnante a bambini difficili. Così come, in quegli stessi anni, a Giovanni Falcone e all’amico e vicino di casa Paolo Borsellino capitava persino di giocare a pallone con i figli delle famiglie di mafia, senza mai deviare dalla strada maestra.

Falcone e Morvillo, prima di innamorarsi l’uno dell’altra, erano già incredibilmente attaccati ai colori e alle luci di una terra comune che mai come in quegli anni sembrava volersi solo imbrattare di sangue innocente. Con una rigorosa ricostruzione storica, e l’ossatura solida di un adattamento da romanzo, sullo schermo si snoda la vicenda di due straordinari servitori dello Stato, che in modi diversi e complementari sfidano criminalità comune, grandi cartelli di mafia, e ostilità nascoste, raccogliendo il testimone dai tanti amici persi per strada nella guerra tra Stato e antistato.

La semplicità della vita familiare di Francesca, il momento di vuoto affettivo di Giovanni, nel volgere di anni si combina in una passione bruciante che sfida le regole, facendo emergere detrattori e corvi che in Procura si rivelano ostili e persino più pericolosi dei criminali veri.

Il pentimento di Buscetta, il Pool di Palermo, la tentata strage all’Addaura, il libro-intervista di Marcelle Padovani su Cosa Nostra, punteggiano una doppia biografia, che umanizza e spezza l’incantesimo di santità nel quale questo Paese confina i suoi martiri, specie quando è stato in qualche modo complice della loro fine. E la Morvillo e Falcone, con gli uomini della scorta, e i colleghi di Polizia e Magistratura, si rivelano nella loro intimità di persone, tra la paura di perdersi, il sospetto di sentirsi sempre avversati o sotto continua minaccia; eppure, la coppia non smette mai di amarsi, arrivando insieme ai suoi ultimi metri con lo sguardo alto e il sorriso, capaci di trasmettere, anche in pellicola, l’enorme potere evocativo dell’esempio.

Un uomo e una donna forse unici, che scelsero di vivere una normalità fatta di caffè presi in fretta e baci consumati al largo, durante una guerra crudele, che, proprio profanandone i corpi, rese il loro ricordo più vivido. Giusto quindi che siano stati fatti uscire dal pantheon per riconsegnarli alla splendida contraddittorietà di chi ha il coraggio delle proprie scelte.

Per la catanese Ester Pantano, allieva di recitazione della newyorkese Susan Batson, un mirabile esordio, finalmente in un ruolo di protagonista, denso di complessità, mentre Primo Reggiani ci restituisce il suo personaggio con il lampo negli occhi e la cocciuta onestà di un uomo delicato e intenso come il profumo della zagara.

Simona Izzo e Ricky Tognazzi hanno osato mostrare anche i momenti che seguirono a quel maledetto 23 maggio 1992 in un’operazione di dolorosa verità, seguendo la lezione del cinema sociale di Giuseppe Ferrara e di Claudio Bonivento, ringraziato nei titoli di coda per essere stato tra i primi a raccontare la dialettica tra emarginazione e redenzione nella Palermo di fine Novecento.