«Berlusconi è un grande e si è mai visto nella storia un grande lasciare un erede? Tensioni interne? Certo che ci sono, lui ha 86 anni, ma convincetevi che anche ora Forza Italia è lui, era e resta lui. Quell’insperato 8,4 per cento ottenuto, seppur tallonato da Fratelli d'Italia, prima dalla Lega (il sorpasso del 2018 è stato pareggiato, ndr), poi da Renzi e Calenda, è tutto suo, con una campagna elettorale pazzesca TV e social». Ma Giovanbattista Caligiuri, detto Gegè, già presidente della Calabria, senatore, sottosegretario, soprattutto uno dei 27 uomini azzurri di Publitalia, che con Marcello Dell’Utri amministratore delegato, Massimo Palmizio, Gianfranco Miccichè, Enzo Ghigo, per citarne i più noti, furono l’embrione di Forza Italia, ovvero la base dell’iniziale e vituperato partito- azienda, non è un acritico fan adorante.

Amico personale del “dottore”, imprenditore-politico, non nasconde che abbia commesso pure errori. «Lui dice sempre quello che pensa, a volte anche troppo, ma qualsiasi cosa dica e faccia è sempre show. È unico», spiega Caligiuri, osservatore prezioso anche perché da tempo fuori dalla politica attiva. E sempre al di sopra delle diatribe interne che, come dicono altri esegeti delle cose di Arcore, ci sono sempre state, ma ora si sono accentuate nel «partito monarchico- anarchico».

Il movimento-partito «di quelli che fanno come c… gli pare», disse una volta l’avvocato senatore Niccolò Ghedini con ironia su un disguido in una votazione, per stigmatizzare l’errore ma al tempo stesso anche, con ironico affetto, quello specifico tratto liberale, persino troppo, anche nella stessa vita interna di FI. Così diversa dalla struttura più rigida di FdI o dallo schema organizzativo interno “leninista” della Lega. Forza e debolezza al tempo stesso di FI. Partito che il “dottore” ha plasmato con «il sole in tasca» (imperativo per i suoi top manager) delle idee liberali, anti- pressione fiscale, garantiste, europeiste e atlantiche. Proprio su questo giornale abbiamo ricordato la “rottura” che il Cav fece nel ’ 94 al suo primo mandato da premier recandosi al Cimitero militare Usa di Nettuno, rottura rispetto a una narrazione di sinistra tutta incentrata soprattutto sulla Resistenza, mettendo in ombra il decisivo sacrificio angloamericano.

Giorgio Mulè, vicepresidente della Camera, già sottosegretario alla Difesa, un significativo curriculum da direttore di testate Mediaset e Gruppo Mondadori, di casa a Arcore, molto vicino al Cav e alla top manager Marina Berlusconi, ha ribadito il valore aggiunto euro- atlantico di FI. Dopo l’uscita delle frasi rubate dagli audio «decontestualizzate e strumentalizzate» pro- Putin di Berlusconi che ha condannato l’aggressione all’Ucraina e schierato sempre FI con tutto il centrodestra a favore dei provvedimenti di sostegno all’Ucraina, ma rivendicando il grande risultato di Pratica di Mare nel tentativo di portare Putin in Occidente, nella Nato.

Mulè ha anche pungolato il vicepresidente e coordinatore azzurro Antonio Tajani, mai però chiedendone dimissioni, auspicando che non si sobbarchi come altri, dopo essere diventato ministro degli Esteri, «della fatica» di accumulare troppi incarichi. Questo, ha precisato, non per ostilità ma «per il rilancio di FI». Mulè nella geografia azzurra viene classificato tra i “falchi”, l’area che insieme con il nuovo capogruppo alla Camera, il quarantenne Alessandro Cattaneo, fa riferimento all’altra quarantenne, personaggio di punta nel nuovo firmamento azzurro Licia Ronzulli, capogruppo al Senato, stretta emanazione del Cav. Ronzulli “capa” dello staff di Arcore, è stata demonizzata, dopo il veto di FdI su di lei al governo, anche dai malpancisti non ricandidati da FI, pure con accuse dai tratti di misoginia che nei confronti delle donne di potere in particolare non mancano mai.

Ma i “falchi” non sono solo nomi, rappresentano soprattutto una linea nettamente antitetica alla sinistra, ovvero l’anima profonda liberale e marcatamente anti- comunista del Cav. Ma questa la impersonifica anche Tajani, che è cofondatore di FI con Antonio Martino, Dell’Utri, Giuliano Urbani. Tajani però è anche l’uomo della diplomazia Ue e dal curriculum tutto europeo. Ex presidente del Pe, ex commissario Ue, è tuttora vicepresidente del Ppe. Descritto sempre come un vero soldato leale di Silvio, più diplomatico che front- man, è entrato nel mirino delle critiche interne con l’accusa di essere a capo dell’ala dei cosiddetti governisti, sospettati di aver bypassato il Cav con Meloni, e per le nomine di personaggi a lui vicinissimi, come l’ex capogruppo Paolo Barelli. Accuse che il ministro degli Esteri e vicepremier ha seccamente respinto.

La partita dei sottosegretari è ora importante per allentare le tensioni azzurre che potrebbero anche provocare fuoriuscite verso il nuovo gruppo cuscinetto dei Moderati di Maurizio Lupi con cui FdI potrebbe tutelare il governo al Senato, in particolare. Resta comunque il punto di fondo del futuro azzurro. Ma c’è chi sostiene che Berlusconi ormai ha plasmato un’area liberale anti-sinistra che resterà sempre fino a lasciare la sua decisiva impronta sullo stesso FdI. Questo significano le sue parole di apprezzamento a Meloni che «ha detto cose definitive su tasse e libertà».

Un modo per il leader azzurro di sottolineare il suo decisivo contributo per portare la destra più verso il centro. Solo che «da signore di vecchio stampo, da Meloni si sarebbe aspettato altrettanta generosità», chiosa l’amico Caligiuri. Anche ieri al Senato in aula e sui banchi del governo tra le file di FdI spiccavano ex personalità azzurre di rango, dal professore liberale, massimo studioso di Karl Popper, Marcello Pera, già seconda carica dello Stato, al ministro agli Affari Europei e Pnrr, Raffaele Fitto. Cav dappertutto.