Ci risiamo: fino a pochi giorni fa eravamo qui ad immaginarci come sarebbe stata la possibile convivenza al Governo sui temi della giustizia tra il Partito Democratico e Azione/+ Europa. Un po' turbolenta, avevamo ipotizzato. Ora, rotto bruscamente il patto, tocca chiederci come sarebbe, invece, la coabitazione qualora si formasse il terzo polo con Carlo Calenda e Matteo Renzi. Anzi, la vera domanda è: il garantismo nudo e puro potrebbe albergare proprio al centro dei moderati progressisti riformatori? Se guardiamo a sinistra, sappiamo che da quella parte sono più sensibili alle istanze della magistratura.

Ricordate chi era assente alla manifestazione del 24 giugno dello scorso anno organizzata dall'Unione camere penali a Roma per rilanciare la battaglia per la separazione delle carriere? Se la memoria non vi assiste, vi diciamo che le uniche forze politiche latitanti erano quelle del Partito democratico e del Movimento 5 Stelle. Ma questo elemento potrebbe non essere visto come sintomo di carenza di garantismo. Non si può dire lo stesso dell’equiparazione che fece il segretario Enrico Letta tra impunitisti e garantisti. Lo stesso dem Alfredo Bazoli, qualche anno fa sul suo blog, ammise che «da più di vent'anni la sinistra aveva rottamato il garantismo, considerato non più utile in un'epoca nella quale solo le inchieste giudiziarie sembravano in grado di consentire al Paese il ricambio di una classe dirigente e di un sistema ormai consunti, e tuttavia ancora saldamente ancorati al potere».

Guardando a destra, è vero che proprio a questo giornale il sottosegretario forzista alla giustizia Francesco Paolo Sisto ha assicurato che sul tema della giustizia le tre forze di centrodestra lavoreranno all'unisono proprio avendo come fil rouge il garantismo. E però sappiamo bene quanto il garantismo di Forza Italia possa essere spesso classista. A ciò si aggiunge «il grave errore» - come lo ha definito in una intervista al nostro giornale Gaetano Pecorella dell'invito all'astensione rivolto agli elettori da Forza Italia e da Silvio Berlusconi in occasione del referendum del Partito radicale e dell'Unione camere penali sulla separazione delle carriere del 2000. Poi non bisogna dimenticare che Lega e Fratelli d'Italia non si sono mai nascosti nel dire che per loro il garantismo si ferma al processo, mentre nella fase dell'esecuzione penale deve prevalere il giustizialismo. Veniamo al possibile terzo polo Azione/ Italia viva.

Da queste pagine abbiamo spesso ospitato l'impavido Enrico Costa che va avanti con le sue battaglie, inimicandosi profondamente l'Anm che lo considera il braccio armato dell'Unione camere penali in Parlamento. Guardando al partito di Matteo Renzi, sono rintracciabili molte similitudini con Azione e con un manifesto liberale della giustizia, con un diritto penale laico e non etico. In questa ultima legislatura, hanno quasi sempre votato allo stesso modo sui provvedimenti in materia di giustizia. Hanno entrambi sostenuto i referendum promossi in primis dal Partito Radicale.

Forse una delle differenze maggiori è che rispetto al voto favorevole di Azione, Italia viva si è astenuta sulla riforma del Csm e dell'ordinamento giudiziario, ritenuta «più inutile che dannosa», come disse durante le dichiarazioni di voto al Senato Renzi. Certo, quest'ultimo qualche scivolone lo ha preso in passato. Ne rammentiamo due: proporre Nicola Gratteri come Ministro della giustizia. A stoppare la nomina ci pensò per fortuna l'ex capo dello Stato Giorgio Napolitano. E sostenere in piena emergenza covid, quando i Tribunali di Sorveglianza concedevano detenzioni domiciliari per motivi di salute anche a detenuti al 41bis, di essere «un garantista convinto». Ma essere garantisti, aggiunse, «non significa scarcerare i super boss». In pieno slang pentastellato. Chiedemmo un parere al noto penalista Franco Coppi in proposito, che ci disse: «O si è garantista o non lo si è: non esiste il garantista a metà soprattutto rispetto a delle situazioni che sono puntualmente previste dall'ordinamento e che devono portare a certe determinate soluzioni». A parte questi piccoli nei, il programma di Italia viva è molto simile a quello di Azione.

È ancora nella fase di rifinitura ma, come ci anticipa l'onorevole Lucia Annibali, «la nostra impostazione sulla giustizia sarà coerente con il lavoro fatto in questi anni in Parlamento e si muoverà anche sulla scia dei quesiti referendari che noi abbiamo sostenuto». In attesa di conoscere i dettagli della proposta elettiva per il prossimo 25 settembre la deputata ci spiega che «si può ripartire dalle riforme Cartabia, nonostante per noi non siano sufficienti e a tratti poco incisive. Come temi nostri, lavoreremo e ci batteremo a favore della separazione delle carriere attraverso una riforma costituzionale, per il ripristino della prescrizione sostanziale, per una equa valutazione dei magistrati, e infine per una rivisitazione della custodia cautelare».

Per la parlamentare della Commissione Giustizia, «sul tema del carcere non è stato fatto praticamente nulla. Occorrerà rafforzare le misure alternative, sarà importante portare a termine la questione dei bambini in carcere e affrontare la condizione delle donne detenute».