Attilio Fontana, presidente della Regione Lombardia, in queste lunghe settimane ha dovuto gestire la più grave emergenza sanitaria del secolo. La sua regione è stata tra le più colpite in Italia e nel mondo. La piccola e sconosciuta Codogno, con Bergamo, Brescia e Lodi, in breve tempo è diventata simbolo di morte, di lutto ma anche di veri e propri atti di eroismo da parte di medici e infermieri.

E la regione che faceva vanto del suo sistema sanitario ha dovuto gestire un‘ emergenza che ha portato quel sistema a un passo dal collasso. Ma il governatore Fontana rivendica la tenuta della sua Sanità e rispedisce al mittente ogni accusa: «Si tratta di ciniche speculazioni politiche», dice. «Chi critica la sanità lombarda dovrebbe aver prima la coscienza di venire a vedere cosa è accaduto in queste settimane». E alla domanda se non sarebbe il caso di rivedere l’eccessiva autonomia dei sistemi sanitari regionali, Fontana rispolvera il suo DNA federalista e rovescia la critica: «Serve più federalismo, altro che. Se avessimo avuto più autonomia avremmo potuto assumere 2500 operatori sanitari in più e chissà, forse qualcosa sarebbe cambiato…».

Presidente, non c’è dubbio che il sistema sanitario lombardo è andato in crisi, c’è chi ha addirittura parlato di collasso e di fine di un modello… Si tratta di squallide speculazioni che hanno iniziato a girare da qualche giorno. Ma sono critiche che hanno un mero carattere politico. Adesso c’è qualcuno che mi accusa addirittura di aver sottovalutato l’emergenza. Una critica ridicola, mossa da chi, appena qualche settimana fa, mi accusava di voler diffondere il panico. Quelle stesse persone che, quando chiesi di mettere in quarantena i cittadini che arrivavano dalla Cina, mi davano del razzista. Gli stessi che quando, tra i primi, indossai la mascherina per far capire ai cittadini l’importanza di quel tipo di protezione, mi dissero che si trattava di uno show che avrebbe moltiplicato i timori. Ma oggi vedo che tutti, anche chi allora criticò quel gesto, ne indossano una. E oggi, a così poca distanza da quelle ingiurie ( a proposito, il mio avvocato sta procedendo nella giusta direzione) mi accusano del contrario: cioè di sottovalutazione dell’emergenza.

E’ vero che l’onda d’urto del virus, soprattutto in Lombardia, è stata imponente, ma è anche vero che il sistema ha “faticato”. Non crede che l’impostazione federalista della sanità debba essere rivista? Certo, va corretta ma in senso ancora più federalista. Serve più autonomia. Mi spiego: io chiedo da anni l'assunzione di 2500 operatori sanitari. Se avessimo avuto più autonomia avrei potuto assumerli perché, badi bene, non è una questione di soldi, noi le risorse le abbiamo, ma di autonomia, appunto. Ma io mi chiedo, e chiedo a chi ha responsabilità politiche: forse con quelle 2500 persone in più avremmo potuto gestire la crisi sanitaria in modo migliore?

Alcuni virologi e analisti sanitari sono convinti che il picco anomalo e straordinario di contagi in Lombardia sia frutto di un’eccessiva ospedalizzazione. Insomma, gli ospedali hanno moltiplicato la diffusione del virus. E’ d’accordo? E cosa avremmo dovuto fare? Lasciar morire le persone a casa? Noi siamo partiti all’inizio di questa crisi con 700 posti di rianimazione. Dopo poco più di un mese siamo arrivati a 1500. Questo perché la “richiesta” di assistenza era imponente. Si trattava, e si tratta ancora, di persone gravemente malate che non potevano non essere ricoverate.

Presidente Fontana, in queste ore sta esplodendo il caso del Pio Albergo Trivulzio, la Rsa in cui sono morte decine di persone anziane. Sembra che il direttore generale nominato dalla Regione possa dover rispondere di omicidio colposo. Qualcosa è sfuggito di mano? Intanto va detto che la Regione non nomina nessuno. Anche qui siamo in presenza di una squallida speculazione politica. Il consiglio di indirizzo è nominato per tre quinti dal sindaco di Milano e per solo due quinti dalla Regione. Lo stesso direttore generale è nominato dal presidente della Regione ma insieme al sindaco di Milano. Eppure delle responsabilità del sindaco, guarda caso, non parla nessuno. Anzi, lo si fa apparire come una vittima. Oltretutto si tratta di contestazioni che andranno verificate con molta attenzione, se poi qualcuno ha sbagliato è chiaro che la legge interverrà. Ma io credo che il direttore, che ha piena autonomia, abbia agito con responsabilità. Purtroppo quello che è accaduto al Trivulzio è accaduto in molte Rsa italiane.

Il sindaco di Bergamo Giorgio Gori dice che avreste dovuto chiudere l'accesso al pubblico esterno molto prima… Gori dice cose non vere. Noi abbiamo preso le prime misure di sicurezza il 23 febbraio, appena due giorni dopo aver scoperto il primo caso in Lombardia. Abbiamo immediatamente chiesto che venissero limitati gli accessi ai parenti e controlli sanitari all’ingresso. In seguito, e siamo all’ 8 di marzo, abbiamo definitivamente chiuso l’accesso a tutte le Rsa. La verità è che il sindaco Gori non sa i fatti. Ma del resto è una caratteristica che accomuna molti di quelli che ci attaccano. Si tratta perlopiù di persone che non si rendono conto del dramma che abbiamo vissuto. Vorrei che venissero a vedere, che toccassero con mano la forza di questa crisi. La verità è che non si rendono conto. In questi giorni ho parlato con un medico che ha vissuto gli ultimi teatri di guerra: è stato in Iraq, in Afghanistan, in Libano. Eppure, mi ha detto, quel che ha visto nelle corsie degli ospedali lombardi non lo ha mai visto in nessu- na parte del mondo. Arrivavano pazienti a ondate. Come si ci fossero violentissime scosse di terremoto. Si trattava di sessante, settanta, cento persone che arrivavano tutte insieme e tutte in condizioni critiche. Ecco, chi parla male della nostra sanità non si rende conto di quel che dice.

Cosa si aspetta? Ora inizia a vederla la famosa luce in fondo al tunnel? La situazione migliora ma i contagi sono ancora molti. Però le nostre strutture ora sono in grado di gestire senza troppi affanni le emergenze. E non smetterò mai di dire grazie ai medici, agli infermieri e a tutti coloro che in queste drammatiche settimane si sono presi cura di noi. Per questo trovo intollerabili le speculazioni di chi cerca voti sulla pelle di chi ha dato la vita in corsia.

Governatore, un’ultima domanda politica: Renzi vorrebbe Colao come ministro della “ricostruzione”. Le piacerebbe? Colao è una persona seria, non credo potrebbe stare in questo governo.

Lei ha appena fatto un appello per ricevere materiali sanitari da Roma: come è possibile che a un mese e più dall’inizio della crisi siamo ancora in deficit di reagenti e mascherine? I reagenti, indispensabili per realizzare i tamponi e verificare la positività dei pazienti, sono in quantità molto limitata per cui noi non possiamo andare oltre un certo numero di tamponi. Vorremmo farne molti di più ma in questa situazione è molto complicato. D’altre parte siamo in attesa che l’Iss e il Ministero della Salute validino il test sierologico messo a punto dall’Università di Pavia e quel punto, una volta riconosciuto ufficialmente, saremo pronti a partire con questo genere di esame sulla popolazione. Spero entro il prossimo 21 di aprile. Poi c’è l’opzione del cosiddetto “tampone breve”, ma anche lì siamo in attesa che le autorità sanitarie sciolgano le riserve.

A quel punto sarete pronti alla “riapertura” di maggio? Direi di sì. Certo dobbiamo tenere alta la guardia e muoverci con grande equilibrio e gradualità. Ora stiamo risolvendo il problema delle mascherine grazie al contributo di molte aziende lombarde che hanno convertito la loro produzione ma siamo ancora in difficoltà con i camici, senza i quali i medici non possono lavorare. Le stesse visite a domicilio, importantissime per evitare nuovi contagi, non sono neanche immaginabili senza i camici.

A proposito di riapertura, sembra di capire che prima eravate voi governatori del Nord a chiedere un lockdown molto rigido mentre Roma resisteva. Invece ora la situazione si è rovesciata: siete voi a chiedere riaperture ( soprattutto il Veneto di Zaia) ma il governo è scettico e prudente. Cosa è cambiato? La verità è che Roma ha il pieno controllo sulle attività produttive ed è chiaro che è lì che devono assumersi la responsabilità di decidere quando “riaprire”. Non capisco come possa essere affidata a noi la responsabilità di settori che non sono di nostra competenza.

Eppure sembra che il Nord - il Nord politico e della Confindustria - abbia molta fretta di avviare la “fase 2”. Questo nonostante lo scetticismo della gran parte dei virologi... E’ chiaro che al punto in cui siamo la riapertura non dipende dalla volontà politica ma da considerazioni di natura scientifica. Ora che i numeri dei contagi iniziano a migliorare, e con tutti gli accorgimenti del caso, noi dobbiamo pensare a come riaprire le nostre città, le nostre imprese. Dobbiamo però metterci in testa che sarà una vita molto diversa da quella di qualche mese fa. L’uso delle mascherine, il rispetto delle distanze fisiche e molto altro faranno parte del nostro nuovo modo di vivere per molto tempo. Dovremo rinunciare a molte attività, evitare assembramenti ma nello stesso tempo dobbiamo assolutamente iniziare a pensare a come tornare verso questa “nuova normalità”. Dobbiamo convincerci e capire che sarà impossibile, almeno nel breve periodo, eliminare il contagio. Saremo costretti a convivere con questo maledetto virus ma, d’altra parte, non possiamo rinchiuderci in casa per tutta vita, dobbiamo gestire con gradualità i nuovi contagi in modo che le nostre strutture sanitarie evitino di andare di nuovo in crisi.