Chi lo ha incontrato nottetempo, parla di un Matteo Renzi furioso, che poi si è sfogato su Twitter: «Di giorno sui social fanno i moralisti, di notte in commissione salvano le loro fondazioni». E la questione è tutt’altro che chiusa, anche se in mattinata è arrivata la retromarcia sia della mano che ha presentato l’emendamento che rinvia l’equiparazione delle norme sulle fondazioni a quelle sui partiti - il deputato Claudio Mancini del Pd - che della spalla che lo ha sorretto - i 5 Stelle che hanno votato a favore, sbugiardati poi da Luigi Di Maio che ha definito l’emendamento «una porcheria da togliere».

Il colpo gobbo che ha scatenato l’ira di Italia Viva è arrivato in commissione Finanze alla Camera, durante una seduta di passione lunga 14 ore in cui si sono votati gli emendamenti al decreto fiscale, che oggi dovrebbe approdare in Aula per la discussione generale. Il testo presentato da Mancini toccava un argomento che definire sensibile, nella settimana dell’inchiesta su Open, è un eufemismo: proprio mentre i pm di Firenze scavano nelle carte della fondazione che faceva capo alla corrente di Matteo Renzi, il Pd proponeva di far slittare al 2021 l’applicazione alle fondazioni e alle associazioni della normativa sulla trasparenza oggi in vigore per i partiti, tra cui l’obbligo di rendicontazione per elargizioni superiori ai 500 euro l’anno o di prestazioni o altre forme di sostegno di valore equivalente.

Di qui la rabbia di Renzi: tutti «moralisti» quando si è trattato di accusarlo, ma in segreto pronti a mettere in sicurezza le proprie strutture analoghe ad Open, tanto che il voto positivo è arrivato compatto da Pd, 5 Stelle e Leu, mentre il voto contrario di Italia Viva ha spaccato per la prima volta la maggioranza.

Di qui la corsa ai ripari: «Ho presentato un emendamento alla luce del sole per rinviare l'entrata in vigore di una legge al momento inapplicabile che riguarda migliaia di associazioni», è stata la risposta del deputato dem Mancini, autore materiale dell’emendamento incriminato, il quale ha aggiunto: «Visto che si pensa che ci siano secondi fini o obiettivi particolari, non resta che tornare in commissione e modificare il mio emendamento.

Si dovrà comunque trovare un’altra soluzione alle difficoltà organizzative evidenti causate da una legge che personalmente continuo a pensare sbagliata perché criminalizza i partiti e la partecipazione politica». La strada, salvo intoppi, sarà dunque quella del ritorno in Commisione del dl per la modifica definitiva prima del suo approdo alla Camera. Anche perchè il governo punta a mettere la fiducia sul testo, impedendone qualsiasi modifica in Aula.

Se l’emendamento sulle fondazioni è stato lo sgarbo più eclatante, Italia Viva ha però bocciato, votando no, anche il testo sul carcere agli evasori. «Italia Viva resta sempre contraria, votiamo no», ha detto il deputato Mauro Del Barba, ma l’inasprimento complessivo delle pene è comunque stato approvato in commissione, anche se sarà meno consistente per i reati minori.

Che siano screzi, che siano diversità di vedute, le crepe nella maggioranza sono tutte visibili nel decreto fiscale: da una parte la serpeggiante disputa tra dem e fuoriusciti renziani, dall’altra i continui testacoda grillini. Per ora sembra prevalere l’interesse generale a tamponare il tutto, anche a costo di tornare maldestramente sui propri passi. Chissà per quanto ancora.