Abbordaggio delle imbarcazioni, trasferimento in un centro di detenzione ed espulsione. Sono queste le fasi che hanno caratterizzato il tentativo (fallito) degli attivisti della Global Sumud Flottilla di raggiungere via mare Gaza e consegnare aiuti umanitari alla popolazione palestinese.

Dopo essere stati condotti nel porto di Ashdod per gli adempimenti davanti alla polizia e alle autorità di frontiera (identificazione e dichiarazioni sulle condizioni di salute), gran parte dei partecipanti alla missione della Flotilla – in tutto 473 persone di varie nazionalità - hanno raggiunto in autobus il carcere di Saharonim, nella città di Kziot (nel deserto del Negev), nelle vicinanze del confine egiziano.

In tutte le fasi che hanno riguardato l’avvicinamento al mare territoriale palestinese – è utile ricordarlo - le violazioni del diritto internazionale da parte di Israele si sono susseguite. A partire dal blocco navale imposto da tempo. In base al diritto bellico le navi che vengono adoperate per missioni prettamente di assistenza umanitaria, come nel caso della Global Sumud Flotilla, sono esenti da attacchi da parte di navi da guerra di uno Stato. Israele avrebbe dovuto consentire l’arrivo e la distribuzione di beni di prima necessità alla popolazione palestinese.

Il carcere di Saharonim, progettato per ospitare chi entra illegalmente in Israele e dove si trovano i componenti degli equipaggi della Flotilla, dovrebbe comunque svuotarsi in tempi rapidi. Il governo israeliano è intenzionato ad emettere un unico provvedimento di espulsione collettiva.

Non mancano i paradossi e le forzature. Gli attivisti della Flotilla sono stati fermati quasi tutti a circa 70 miglia dalla costa di Gaza, in un tratto di mare in cui Israele non avrebbe competenza, ed è stato loro contestato un ingresso illegale. In quest’ultimo caso il clandestino si trova di fronte a due scelte. La prima verte su una procedura rapida e consiste nel comunicare l’intenzione di lasciare Israele entro 72 ore dall’arresto. La seconda scelta: presentarsi davanti a un giudice per la convalida dell’arresto e rilasciare eventuali dichiarazioni.

Loubna Yuma, avvocato di Adalah, il team legale della Flotilla, ha chiarito che, con o senza l’iter procedurale abbreviato, gli attivisti della Flotilla saranno tutti espulsi. Diversi attivisti, compreso il vicepresidente della Gsf, l’avvocato belga Alexis Deswaef, si sono rifiutati di firmare i documenti che riconoscono, con una dichiarazione che però non risponde al vero, l’ingresso illegale nel territorio israeliano e hanno iniziato uno sciopero della fame.

«È prevista un’udienza nella prigione», ha comunicato l’International Federation for human rights (Fidh), di cui fa parte la ong Adalah. La Fidh, appartenente ad Adalah-The Legal center for arab minority rights in israel, ha denunciato «le condizioni di detenzione degli attivisti e gli ostacoli incontrati dagli avvocati nel fornire assistenza legale». Mercoledì tre legali di Adalah hanno atteso molte ore prima di essere ammessi alle udienze per decidere sul prolungamento della detenzione e poi sull’espulsione. Gli avvocati hanno lamentato l’impossibilità a presenziare alle udienze.

Un’altra violazione da parte delle autorità israeliane, in questo caso del diritto di difesa. Gli equipaggi della Global Sumud Flotilla sono composti da molti cittadini di Stati dell’Unione europea per i quali sussistono delle garanzie precise in caso di arresto all’estero. Il cittadino italiano ha diritto a chiedere assistenza consolare e, su richiesta dell’interessato, la Rappresentanza diplomatico-consolare può, fra le varie cose, rendere visita al detenuto e fornire nominativi di legali di riferimento in loco. L’attenzione della nostra rappresentanza diplomatica in Israele è stata massima dall’inizio del viaggio nel Mediterraneo degli italiani sulle imbarcazioni della Flotilla.

I primi a fare rientro in Italia sono stati il senatore Marco Croatti, le eurodeputate Annalisa Corrado e Benedetta Scuderi e il deputato Arturo Scotto. Scuderi in una breve conversazione con i giornalisti presenti all’aeroporto di Roma-Fiumicino ha detto che «il pensiero resta a Gaza e alle persone che non sono tornate». L’esponente di Avs ha aggiunto che «sono accadute tantissime cose» e che sarà possibile parlarne «in modo più pieno», dato che durante l’operazione di fermo «ci sono state delle violazioni da parte delle autorità israeliane».

Dopo il blocco delle imbarcazioni della Flotilla da parte dei militari di Tel Aviv, si sono perse le tracce per quasi due giorni di Yassine Lafram, presidente dell’Unione delle Comunità islamiche d’Italia (Ucoii) e imam di Bologna, anche lui diretto a Gaza su una imbarcazione della Flotilla. Oggi le notizie sono positive. Il segretario nazionale dell’Ucoii, Yassine Baradai, ha riferito che Lafram sta bene e che tornerà in Italia al più presto. Le rassicurazioni sono giunte direttamente dall’Unità di crisi della Farnesina.

Giunti al porto di Ashdod, gli attivisti della Flotilla hanno ricevuto la visita del ministro israeliano della Sicurezza nazionale, Itamar Ben Gvir. L’esponente del governo Netanyahu si è recato non per sincerarsi delle loro condizioni, ma per dar vita ad una serie di provocazioni prontamente riprese da uno smartphone. Ha definito i componenti degli equipaggi della Flotilla “terroristi” e “sostenitori di assassini”. Ma non si è fermato qui. In un video su X ha attaccato il primo ministro Netanyahu, definendo «fondamentalmente sbagliata» la decisione del premier di far rientrare nei loro Paesi i «sostenitori del terrorismo». «Io penso che bisogna lasciarli qui in carcere per alcuni mesi, affinché respirino l’odore dell’ala dei terroristi», ha aggiunto.