«Non possiamo cambiare il destino ma noi possiamo cambiare». Queste parole sono l’essenza di Lola Pater di Nadir Mokneche, secondo film del 70° Locarno Festival ad essere presentato nella sezione Piazza Grande, dedicata al grande pubblico. La Lola del titolo è Fanny Ardant in un ruolo che la vuole tanto femme fatale quanto mascolina poiché come recita la trama del film: «Quando sua madre muore, Zino decide di andare a cercare suo padre. Ma, 25 anni dopo, Farid è diventato Lola». Con Lola Pater, a 35 anni da La Signora della porta accanto di Francois Truffaut, ruolo che l’ha consacrata nel grande cinema francese, Fanny Ardant, dimostra di essere capace di interpretare il passato e il presente di una persona con un solo sguardo, di poter andare al di là del genere e di saper dare credibilità ad un personaggio come è quello di Farid/ Lola. A Locarno, dopo la presentazione del film, Fanny Ardant descrive il suo approccio a questa nuova prova recitativa e si svela come donna, attrice, madre e regista. Tutto questo in un italiano intenso e cinematografico di chi conosce bene la nostra cultura e il nostro cinema.

Come ha lavorato sull’equilibrio e la credibilità di questo personaggio, un uomo che ha fatto un lungo percorso di trasformazione?

Stranamente quando ero giovane, non mi sono mai amata fisicamente dunque mi sono costruita con gli anni e non ho lasciato fare alla natura. Quando Nadir Mokneche mi ha proposto questa parte, ho capito che anche se non ho mai voluto cambiare sesso, potevo comprendere il tempo, la sofferenza e il sacrificio necessario per questo percorso. Mi sono resa conto dei tanti cliché dell’essere donna o uomo, la donna è dolce, l’uomo deve essere forte, è una follia totale. La cosa importante di questo film era che si concentrava sul rapporto padre- figlio. Una volta che Nadir Mokneche ha determinato come dovevo “apparire” nel film, mi sono lasciata andare a tutte queste emozioni contrastanti.

Nel film risuona la frase: non possiamo cambiare il destino ma noi possiamo cambiare. È d’accordo?

Si, assolutamente. Nella vita siamo siamo tutti seduti ad un tavolo da gioco, si può rimanere a giocare con le carte che si hanno o si può scappare. Lei mi dirà: «Ma se ho delle brutte carte?». Le rispondo che ho visto persone vincere con una coppia di 10. Puoi essere una vittima nella vita o rifiutare di esserlo. È come nella favola Il Lupo e Il cane di Jean De La Fontaine che fanno imparare a memoria nelle scuole francesi. Ci saranno quelli che decideranno di essere cani e quelli che faranno i lupi. Al mondo c’è posto per tutti. Come nel cinema, c’è quello commerciale e quello d’autore e Locarno è bella per questo, anche film piccoli di nuovi autori ti spingono a guardare altre verità.

Lola Pater si interroga su cosa significa essere un buon padre. È giusto sacrificare la propria felicità per un figlio?

Essere genitori non basta nella vita. Rimani comunque una persona con il suo destino. Non è giusto proteggersi dietro i bambini, dicendo di non aver potuto fare delle cose a causa dei figli. Un genitore ha la responsabilità di proteggere il proprio figlio, dargli un tetto, un’educazione e la cosa fondamentale è il senso di protezione animale che si ha nei confronti dei propri figli. E poi i grandi risultati ottenuti dalla Repubblica: la scuola, l’educazione e la giustizia. Bisogna stare attenti a non perdere queste conquiste.

Il cinema cambia la vita secondo lei?

Il cinema e per me la letteratura hanno preso negli anni il posto che il prete non è stato più capace di ricoprire. Guardando alla storia del cinema, un giovane può costruirsi una morale, scegliere il suo campo d’azione, capire ciò che non farà mai nella vita o cosa invece potrebbe provare. Io sono arrivata tardi al cinema e la letteratura ( i poeti dissidenti russi in gioventù) mi ha fatto da background morale e insieme al cinema mi ha dato l’energia per resistere alla morte. Parlando di preti, ho amato il Papa di Paolo Sorrentino, un personaggio molto ambiguo che non cerca di piacere.

Lei è stata compagna di Truffaut, con cui ha iniziato la carriera. Perché secondo lei è ancora così tanto amato?

Il suo cinema, il suo universo, il suo modo di raccontare era molto semplice, sia per l’amore che per l’amicizia andava subito all’essenziale, alle storie eterne, non quelle di moda. Raccontava una gioventù un po’ tormentata e quando un regista arriva a catturare l’essenziale della vita, colpisce.

Il suo amico Gerard Depardieu ha dichiarato che il cinema italiano, francese e americano attuali pensano solo a far soldi, lei che ne pensa?

Qualcosa è cambiato nel mondo, viviamo in pieno capitalismo selvaggio dove si pensa solo ai soldi e non alla morale. Grazie a questo però, ci sarà sempre una repubblica underground. Adesso, quando proponi un film, ti chiedono già per quale target lo vuoi fare. È vero che è più difficile fare film off hollywood ma è quello che gli dà la qualità. Le cose migliori sono quelle clandestine come i libri. Meno si parla di quel libro o quel film e più è interessante. In libreria quando vendo la freccia che mi indirizza sui più venduti, io mi allontano. Anche da regista dico, meglio essere vista che essere pagata.

Ha mai pensato di cambiare vita, lavoro o impegnarsi politicamente?

Se non avessi fatto la regista e l’attrice, ci sono due tipi di lavori che avrei potuto fare. Parrucchiera o coltivatrice di olive. Il primo per quando mi sento socievole, il secondo per quanto mi sento molto asociale. Coltivare olive poi è più facile del produrre vino. Mi piacerebbe fare la parrucchiera in un paesino del mediterraneo, non in una grande città come Parigi dove le donne sono cattive ma in quei villaggi dove ti occupi sia di una giovane donna che si deve sposare che della moglie del mafioso ( ride).

Parlando invece del suo paese, cosa ne pensa di Macron?

È troppo presto per giudicare, lasciamogli il tempo. È tutto più difficile in questo momento, il mondo è cambiato, la politica è cambiata e non capisco perché la gente dia tutta questa importanza agli uomini politici.