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Le immagini dell’arresto di Matteo Falcinelli, avvenuto a Miami nello scorso di mese di febbraio, non lasciano dubbi sui metodi brutali della polizia statunitense. Il giovane, originario di Spoleto, è stato arrestato all’esterno di uno street club, dopo aver avuto una discussione con i gestori del locale in merito ad un conto eccessivamente salato, contestato da Falcinelli. Allontanato dal locale, il Dean's Gold, il nostro connazionale ha cercato di informare la polizia su quanto successo e di avere spiegazioni anche in merito alla sparizione temporanea dei suoi due smartphone. A nulla, a quanto pare, è servito il tentativo di chiarimento. Le bodycam in dotazione ai poliziotti registrano il momento in cui Falcinelli viene ammanettato all’esterno del club. Si nota subito l’uso immotivato e sproporzionato della forza: il giovane viene sbattuto a terra violentemente con il volto premuto sull’asfalto. Una posizione che gli provoca le prime escoriazioni. Nei verbali della polizia si sostiene che Falcinelli abbia spinto e toccato i poliziotti. La prima di una serie di incongruenze che le indagini dovranno chiarire. Le registrazioni non documentano nessun contatto fisico. Inoltre, le bodycam vengono tenute accese anche quando il giovane, iscritto ad un master della Florida International University, viene condotto nella stazione di polizia di North Miami Beach. Qui le scene si fanno ancora più violente tanto da indurre la madre di Falcinelli a parlare di tortura. Matteo viene di nuovo messo a terra, manette ai polsi, con una tecnica simile all’incaprettamento, già proibita da diverso tempo in alcuni Stati, compresa la California, perché può provocare la morte della persona arrestata. Mani e piedi sono legate dietro la schiena. Nelle immagini Matteo Falcinelli si lamenta per il dolore e chiede di essere liberato. Saranno le indagini richieste dalla famiglia del 25enne a chiarire tutti i contorni della vicenda, che, comunque, non può giustificare il trattamento riservato allo studente umbro e che continua a gettare ombre sui comportanti violenti della polizia. Negli Stati Uniti, “culla delle libertà”, si registrano spesso episodi di persone maltrattate durante i controlli e gli arresti da parte della polizia con la violazione dei più elementari diritti riconosciuti ad ogni persona e che si rinvengono a partire dalla Dichiarazione universale dei diritti umani.
Il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha assicurato l’impegno dell’Italia e ha chiesto la collaborazione delle autorità statunitensi. «Le immagini che abbiamo visto – ha commentato il responsabile della Farnesina – non ci sono piaciute, mi hanno toccato profondamente. Anche io sono un padre e immagino quello che hanno provato i genitori di Matteo Falcinelli. Il nostro consolato continuerà a seguire minuto per minuto la vicenda, come ha fatto fin da febbraio. Così come facciamo in tutto il mondo seguendo le vicende dei nostri connazionali, continueremo a dare tutta l'assistenza necessaria a Mattero Falcinelli e alla sua famiglia per quanto riguarda l'attività processuale e tutto il sostegno di cui avrà bisogno anche in Italia qualora fosse necessario».
La violenza fisica da parte delle forze dell’ordine e il mancato rispetto della dignità della persona in caso di arresto o fermo sono due elementi che rinveniamo anche in altri casi, nel civile e liberale Occidente. Una stonatura con i principi dello Stato di diritto. Anche l’Italia non è stata esente. Il cittadino americano Gabriel Natale Hjorth venne arrestato nel luglio del 2019 assieme a Finnegan Lee Elder con l’accusa di aver ucciso il vicebrigadiere dei carabinieri Mario Cerciello Rega. Una foto di Hjorth, ammanettato e bendato all’interno della caserma dei carabinieri di via dei Selci a Roma fece il giro del mondo e indignò – non senza di ipocrisia – anche i media d’oltreoceano. Il carabiniere che scattò e condivise con i colleghi la foto, facendola diventare virale, è stato condannato dal Tribunale di Roma nello scorso novembre a un anno di reclusione con pena sospesa.
Inoltre, come non ricordare il trattamento riservato ad Ilaria Salis, in carcere da oltre un anno in Ungheria? Il tribunale di Budapest si è rifiutato di concedere gli arresti domiciliari. Le immagini della nostra connazionale con le manette ai polsi e alle caviglie fanno rabbrividire. Durante le udienze, l’attivista milanese viene sempre condotta in aula da una poliziotta che si premura di vigilare sulla detenuta. Oltre alle manette, Salis ha una specie guinzaglio che serve alla solerte poliziotta per accompagnarla durante gli spostamenti. “Legge e ordine”, scimmiottando qualche serie televisiva, è il credo del primo ministro ungherese Viktor Orbán, che piace tanto ad alcuni nostri politici, con buona pace per i trattamenti in grado di rispettare la dignità della persona. L’Ungheria ha intrapreso di recente un percorso legislativo al centro di richiami da parte dell’Europa. Il trattamento riservato a Ilaria Salis stride con i principi ispiratori dell’Ue. L’ultimo intervento, che ha messo in discussione lo Stato di diritto, riguarda l’Ufficio per la difesa della sovranità nazionale. Il nuovo organismo ha il compito di indagare sulle attività svolte nell’interesse di un altro Stato o di un altro soggetto, un’organizzazione o una persona fisica straniera, qualora possano violare o compromettere la sovranità dell’Ungheria.