Gli hanno cucito addosso l’immaginetta letale del candidato della finanza e dei poteri forti, delle oligarchie e delle banche, un piccolo, spietato alfiere del liberismo economico, e c’è da dire che Emmanuel Macron ci ha messo molto del suo per darle corpo. Più una questione di forma che di sostanza, ma nella politica 2.0 la forma, si sa, conta dannatamente. E allora certe uscite non te le puoi proprio permettere, specie se il tuo obiettivo è «ridurre la frattura tra il popolo e le élites».

Come quando, da ministro dell’economia, ha definito «analfabeti» i lavoratori di un mattatoio dell’azienda Gad, un intervento improvvido nonostante Macron stesse parlando in difesa del loro diritto alla formazione continua e ad avere una patente di guida. Oppure quando in un comizio ha "spostato" la banlieue lionese di Villeurbaine in periferia di Lilla, o quando ha definito «isola» la Guyana francese, un dipartimento d’oltremare incastrato nel continente sudamericano, o ancora quando ha chiamato «espatriati» i francesi della Guadalupa tra lo sconcerto generale.

Snobismo, scarsa empatia e conoscenza geografica delle “periferie” della Francia, che si tratti dei suoi territori lontani o delle sue province dolenti e morsicate dalla crisi economica, le sortite di Macron hanno contribuito non poco alla sua fama di giovane altolocato lontano dalla gente comune e vicino ai potenti fino a modellare l’idealtipo antropologico del perfetto “nemico di classe”. A destra come a sinistra.

Eppure la sequenza di gaffes macroniane dice poco e niente della sostanza politica del suo programma, perché per fortuna i fatti contano ancora un po’ di più delle etichette. Chi lo liquida come un ultraliberista grado zero che vuole distruggere il welfare e regalare miliardi di benefici fiscali alle grandi imprese, un politico senza identità intento a diluire l’identità francese nel mare magno della globalizzazione in contrasto con la France eternelle delle “chiese al centro del villaggio” tanto cara a Marine Le Pen, forse non ha letto con attenzione il suo programma.

Ad esempio in pochi sanno che il leader di En Marche! propone di nazionalizzare i sussidi di disoccupazione, attualmente gestiti da mutue private, di centralizzare la fiscalità locale e di dare ai giovani un “pass cultura” di circa 500 euro, tutte misure che farebbero inorridire un sostenitore della “mano invisibile” del mercato. Inoltre tra le sue promesse elettorali c’è l’abolizione della tassa di abitazione ( come la nostra vecchia Ici l’imposta va a beneficio dei comuni n. d. r. ) che riguarda l’ 80% delle famiglie francesi. «Macron è legato all’idea di Stato Nazione, vuole ridurre l’influenza dei poteri locali, si iscrive nella cornice classica del presidenzialismo francese e non vuole imporre un progetto di società, la sua impronta liberale è in realtà molto più timida di quanto dicano i suoi detrattori», nota sulle colonne del Nouvel Observateur il filosofo e scrittore Gaspard Koening.

Tra i pallini di Macron ci sono le liberalizzazioni e il contrasto degli oligopoli: questo lo ha spesso fatto entrare in conflitto con le corporazioni professionali, come nel caso Uber che ha messo sul piede di guerra tassisti e autotrasportatori, ma da ministro dell’economia è entrato in conflitto anche con le banche: sua la legge che permette alle piccole e medie imprese di prestarsi soldi tra loro senza passare per gli istituti di credito e le forche caudine degli interessi passivi.

I suoi trascrosi alla Rotschild bank sono buoni spunti per gli avversari politici e complottisti che così alimentano la leggenda del giovane banchiere senza cuore ( anche nella sgradevole e caricaturale versione pluto- massonica) pronto a spolpare i risparmi privati dei lavoratori francesi per trasferirli nei forzieri dell’alta finanza.

Detto ciò Emmanuel Macron, ancora in cerca di una sua fisionomia politica definita l’eterna “terza via” che nel corso degli anni ha bruciato generazioni di leader- non è e non sarà mai un socialdemocratico e il suo liberalismo non è in discussione.

Questo appare con chiarezza nella riforma del mercato del lavoro proposta nel programma: stabilire un tetto finanziario ai risarcimenti per licenziamento senza giusta causa e la priorità degli accordi sindacali d’impresa sui negoziati collettivi sono provvedimenti che lo hanno allontanato dalla gauche e ciò è innegabile.

Ma anche su un dossier caldo come le 35 ore Macron scende in campo con estrema cautela: l’orario di lavoro stabilito 20 anni fa dal governo della gauche plurielle di Lionel Jospin verrà infatti mantenuto anche se a livello locale imprese e lavoratori potranno siglare accordi in deroga al dispositivo: «I lavoratori più giovani possono lavorare più di 35 ore, mentre i più anziani possono scendere fino a 32, ci vuole buon senso», ha spiegato in campagna elettorale.

E se è vero che se approderà all’Eliseo nei prossimi cinque anni ridurrà il numero di impiegati statali, Macron ha detto più volte che sono previste assunzioni e aumenti di organico in settori strategici come la scuola, la sanità e le forze di polizia e 10 miliardi di investimenti pubblici. «Il programma del gollista François Fillon con i suoi tagli draconiani alla spesa pubblica andava molto più lontano di quello di Macron; tuttavia il candidato di En Marche! ci dice una bugia quando definisce il suo sistema di “flexisecurité” vicino al modello svedese, a cominciare dal sistema di tassazione prorgessiva che vuole attenuare, quella di Macron è la Svezia senza l’uguaglianza», commenta l’economista Thomas Porchet.

Insomma la natura e l’identità del progetto Macron sono tuttora indecifrabili, una vaghezza che ha fin qui permesso agli avversari politici di alimentare la leggenda del banchiere del diavolo. L’unica strategia che può concedere alla leader del Front National una residua speranza di vittoria.

Come spiega Arnaud Mercier, docente di comunicazione politica all’universita di Parigi IV: «L’obiettivo del campo di Marine Le Pen è evidente: riuscire a fondere la totalità dell’elettorato popolare di destra e di sinistra nel comune odio verso il rapace Macron, dipinto come simbolo del capitalismo nemico della Francia e della sua cultura».