Se ci fosse una lobby certificata della virtù, Edwy Plenel sarebbe il suo leader supremo. Quella «repubblicana», s’intende, un paradiso di purezza che va protetto dai malversatori, dai corrotti, dai “potenti”, perché, avrebbe detto Marat, il popolo vuole giustizia, vuole verità e, spesso pretende il sangue.

Il fondatore del sito di investigazione Mediapart (245mila abbonati, secondo solo a Le Monde e Le Figaro), lanciato nel 2007 come reazione ai «media addomesticati dal potere» è da decenni uno dei giornalisti più influenti di Francia, le sue inchieste e i suoi scoop hanno fatto tremare i partiti, le presidenze, dimettere ministri in carica. Come nel caso del socialista Jérôme Cahuzac, responsabile del bilancio di François Hollande che aveva un conto segreto in Svizzera, condannato a tre anni per evasione fiscale.

Da quella condanna per spinta del governo è nata la celebre Procura nazionale finanziaria (PNF), specializzata in reati di corruzione e protagonista negli ultimi dieci anni delle principali inchieste contro la classe politica d’oltralpe. Spesso con metodi spericolati, da servizi segreti, intercettazioni tra avvocato e cliente, blitz negli studi legali, indagini prolungate per anni senza che i diretti interessati fossero avvertiti. Insomma, metodi alla Plenel, se il fine ultimo è la virtù, i mezzi sono sempre giustificati.

Anche l’affaire dei presunti finanziamenti libici alla campagna di Sarkozy che è costato la prigione all’ex presidente condannato in primo grado viene originata da uno scoop di Mediapart del 2012, un rapporto d’intelligence firmato da Moussa Koussa, un ex funzionario di Gheddafi che cita un versamento da 50 milioni. Il problema è che quel documento tra errori di data e firme contraffatte si rivela un falso grossolano come stabilito dallo stesso tribunale di Parigi. Come spesso accade, gli inquisitori zelanti sono facilmente manipolabili e diventano la buca delle lettere dei chi vuole avvelenare i pozzi. Poco importa, perché «la verità giornalistica è distinta da quella giudiziaria» giura Plenel.

Del resto, la sua carriera è una costellazione di battaglie e di crociate, spesso vinte in modo trionfale, talvolta disastrose. Figlio di un militante trotskista della Martinica, giovanissimo redattore della rivista Rouge, negli anni settanta è un attivista che vede nel giornalismo una missione politica. Brillante e tenace entra prima dei trent’anni nella redazione di Le Monde, di cui diventa direttore nel 1994. Sono gli anni in cui trasforma il giornale in un megafono delle procure cavalcando le inchieste contro il “sistema Chirac”, sostenendo a spada tratta la magistratura, in particolare la giudice Eva Jolie che poi si candiderà alle presidenziali del 2012 con i Verdi.

Però è capitato più di una volta che gli scoop fossero pubblicati senza verifiche, inseguendo l’onda del processo mediatico e il fervore giustizialista. Nel 1991, quando era ancora redattore, Plenel pubblica a sua firma un articolo bomba nel quale si sosteneva che il Partito socialista avesse ricevuto fondi illegali dal regime panamense del generale Noriega per la campagna presidenziale del 1988. Peccato che le lettere che testimoniavano i versamenti fossero truccate, al punto che la direzione del giornale è costretta a rettificare esprimendo «rammarico» per non aver controllato le fonti.

Uno degli scivoloni più noti è il caso Dumas: nel 1998, Le Monde insinua che Roland Dumas, presidente del Consiglio costituzionale e amico d’infanzia di François Mitterrand, sia coinvolto in un traffico di corruzione con il colosso energetico Elf Aquitaine per un commercio illegale di fregate militari con Taiwan, la procura apre un’inchiesta, Dumas finisce nel tritacarne. Dopo quattro anni di processi Dumas viene assolto dalla Corte d’appello perché il fatto non sussiste, ma nel frattempo la sua carriera politica è andata distrutta.

Poi c’è il caso Alègre-Baudis, del 2003: un fatto di cronaca nera trasformato in psicosi politico-nazionale, quando false testimonianze associarono l’assassino seriale Patrice Alègre a una sordida rete di prostituzione e omicidi che avrebbe coinvolto esponenti dei partiti e notabili, fra cui l’ex sindaco di Tolosa, Dominique Baudis, all’epoca presidente del Consiglio nazionale per le telecomunicazioni. Le Monde pubblicò ampi articoli che contribuirono a legittimare quelle accuse infamanti. Solo diversi mesi dopo si scoprì che le testimonianze che accusavano Baudis erano del tutto inverosimili. Baudis, prosciolto ma ammazzato dai media per tutta la durata dell’inchiesta, ne uscì distrutto sul piano umano.

Plenel difese a lungo la linea del giornale in nome della “libertà d’informare”, ma molti videro in quella ostinazione il volto oscuro del suo moralismo: un giornalismo che preferisce la colpa presunta alla verifica dei fatti nel nome di un bene tanto superiore quanto intangibile.