L’elezione di Maria Elisabetta Alberti Casellati alla presidenza del Senato passerà quasi certamente agli annali per le critiche dei media e non, invece, per essere stata la prima donna nella storia della Repubblica a raggiungere lo scranno più alto di Palazzo Madama.

Il fuoco di sbarramento da parte degli organi d’informazione è iniziato subito: il presidente emerito Giorgio Napolitano non aveva ancora ultimato lo spoglio delle schede ed in rete viene diffuso un video del 2013 in cui, ospite di Lilli Gruber a Otto e Mezzo su La7, Alberti Casellati ebbe un confronto molto aspro con Marco Travaglio sui guai giudiziari di Silvio Berlusconi. L’ex premier, come si ricorderà, era in attesa che la Giunta per le elezioni e le immunità del Senato si esprimesse sulla retroattività della legge Severino. Travaglio, dopo un lungo botta e risposta sul caso “Mediatrade” che aveva portato alla condanna di Berlusconi, decise di abbandonare il collegamento. «Mi dispiace – disse il direttore del Fatto Quotidiano – ma chiudo qui. È impossibile restare, qui non si può interloquire. Ogni frase viene interrotta dalla puttanate che dice questa senatrice». Il video ha raggiunto subito le migliaia di condivisioni. Passano poche ore e, sempre dagli archivi del web, spunta fuori una vicenda ancora più risalente nel tempo. Era il 2005, Alberti Casellati ricopriva l’incarico di sottosegretario al Ministero della Salute quando la figlia venne assunta con un contratto a tempo determinato. Per la stampa è un esempio di “conflitto d’interesse”. Anzi, sempre secondo Travaglio, un comportamento da “quintessenza della casta”. Il carico da undici lo mette, però, La Repubblica ripescando una foto dell’ 11 marzo 2013 che immortala alcuni parlamentari del Pdl – fra cui Alberti Casellati – protestare sotto il Tribunale di Milano dopo la decisione dei giudici del processo “Ruby” di sottoporre Berlusconi ad una nuova visita fiscale. Una foto che, secondo il quotidiano di largo Fochetti, rappresenterebbe bene chi sia il neo presidente del Senato. Concetto ribadito in una lunga intervista ieri, sempre sul quotidiano romano, dall’ex procuratore di Torino Giancarlo Caselli, «dispiaciuto» per la nomina della senatrice azzurra. Il messaggio è chiaro: Alberti Casellati è la paladina delle «leggi ad personam», una «pasdaran» del berlusconismo più spinto che negli anni ha sempre «insultato» la magistratura libera. Anzi, sarebbe stata mandata da Berlusconi nel 2014 al Csm proprio con lo scopo di «controllare» le nomine dei magistrati.

La storia di Alberti Casellati è, però, molto diversa. Nei tre anni e mezzo al Csm si è sempre spesa per l’autonomia e l’indipendenza della magistratura. Il caso più celebre è la difesa del procuratore generale della Cassazione Pasquale Ciccolo, “reo” di aver aperto lo scorso anno una pratica disciplinare nei confronti del pm Henry John Woodcook a proposito del modo in cui era stata condotta l’indagine “Consip”. Secondo le accuse di alcuni giornali, in primis Il Fatto Quotidiano, il pm napoletano stava indagando il padre dell’ex premier Matteo Renzi che aveva prorogato Ciccolo nell’incarico. «Uno scambio di favori, una collusione tra la politica e il procuratore generale sul fatto di essere stato favorito con la legge», si disse. «Un attacco spregevole e ingiustificato a Ciccolo e un’offesa a tutto il Csm», aveva aggiunto Alberti Casellati invitando tutto il Consiglio a reagire rispetto a chi «buttava impunemente fango su un’istituzione».

Fautrice del merito nelle nomine dei direttivi, si oppose alla scelta di Lanfranco Tenaglia, rientrato in magistratura come giudice minorile dopo aver cessato il mandato parlamentare nel Pd, a presidente del Tribunale di Pordenone. Un curriculum quello di Tenaglia, secondo Alberti Casellati, pieno di “handicap” rispetto ai titoli della sfidante Licia Consuelo Marino, non solo più anziana, ma dal 2013 presidente di sezione proprio presso il Tribunale friulano.

Contraria alle correnti della magistratura, presentò un emendamento, poi accolto, per cambiare il regolamento del Csm rendendo “trasparenti” le attività delle Commissioni.

Dietro gli attacchi di queste ore, forse, c’è altro. Ad esempio quello di far saltare l’accordo fra Lega e M5S. Infatti non sarà sfuggito che gli attacchi vengono principalmente da quei giornali, La Repubblica ed Il Fatto, che vedono come il fumo negli occhi la liason fra Matteo Salvini e Luigi Di Maio.