C'è chi sostiene che il principio dell’indipendenza della magistratura è sacrosanto (la maggioranza degli Italiani lo sostiene), e chi ha qualche perplessità. Comunque il principio dell’indipendenza è sancito dalla nostra Costituzione. E’ una delle caratteristiche più importanti del sistema giudiziario italiano, che lo rende diverso da altri sistemi giudiziari (come quello francese e quelli anglosassoni) dove il pubblico ministero risponde all’esecutivo o all’elettorato.Ora c’è un problema: se la magistratura deve essere indipendente lo deve essere da tutto. Non solo dal potere politico. Perché il valore dell’indipendenza è davvero un valore solo se si afferma come tale e non semplicemente come strumento di limitazione di un altro potere (e cioè il potere politico).Il caso di Doina Mattei - la ragazza che dopo nove anni in cella per un omicidio preterintenzionale aveva ottenuto la semilibertà, e ieri è stata di nuovo arrestata - ci spiega in modo quasi lampante che purtroppo non è così. E cioè che per la magistratura è ormai difficilissimo rendersi indipendente dal potere mediatico. L’usanza da parte dei giornali, delle televisioni, del web, di svolgere i processi fuori dai tribunali, giudicare, emettere sentenze, punire, ponendo la magistratura di fronte a “fatti compiuti”, è ormai la norma. Ed è la norma per i giudici che emettono sentenze di assoluzione dover affrontare la furia dei giornali e dell’opinione pubblica. E’ successo tante volte. Eternit, Sollecito e Amanda, terremoto dell’Aquila, poliziotti del caso Cucchi... Tutto questo limita l’indipendenza e la dignità della magistratura.Stavolta le cose sono andate così: i giornali e poi il web hanno scoperto che Doina era libera (anzi semilibera, perché la sera doveva tornare in cella), dopo solo nove anni di galera. Hanno deciso che nove anni (più altri nove di semilibertà) sono troppo pochi. Si sono indignati. Hanno gridato allo scandalo. Hanno chiesto ai magistrati d’intervenire e di riportare Doina in prigione. Il magistrato di sorveglianza, che aveva permesso la parziale scarcerazione, ha preso spunto dalla presenza di Doina su facebook (dove ha anonimamente postato alcune sue foto “spensierate”) e ha deciso di sospendere la semilibertà e di far rinchiudere di nuovo Doina.Probabilmente, in punta di diritto, il provvedimento è in regola. Si tratta di vedere come si interpreta la legge e come si interpretano le misure di restrizione della libertà che erano previste nel provvedimento di concessione della semilibertà.Però francamente nessuno al mondo può credere che il magistrato veneziano abbia preso la decisione di sospendere la semilibertà perché era preoccupato dagli interventi di Doina su facebook. Il magistrato si è posto, molto comprensibilmente, il problema di come affrontare l’ondata di proteste sollevata dai media. E ha compiuto la scelta più semplice e popolare: punire severamente Doina e chiudere il caso.Cosa si può fare per porre i magistrati nelle condizioni di lavorare, di indagare, di decidere e di giudicare in piena autonomia e non sotto la pressione dei media? Non arrendersi. Purtroppo non sono più i tempi nei quali grandi intellettuali come Mario Gozzini godevano di grande prestigio e potevano scrivere, in tranquillità, leggi moderne e garantiste come quella, approvata nel 1986, sulla semilibertà. Oggi Gozzini, se fosse vivo, sarebbe esposto alla gogna. Considerato un complice dei malfattori, al pari degli avvocati. Non solo dai forcaioli dichiarati, ma anche da giornalisti molto prestigiosi e stimati, come Massimo Gramellini, per esempio, vicedirettore di un giornale borghese, colto e d’élite come la Stampa, che ieri ha scritto un articolo su Doina, in prima pagina, che sembrava la requisitoria di qualche prosecutor del Massachusetts durante i processi alla streghe.No, non c’è più spazio per Gozzini. Oggi prevalgono intellettuali un po’ meno colti ma più sanguigni. Tipo Salvini.