L'amministrazione Trump ci riprova, dopo aver fatto un semplice make-up al Muslim Ban che tanti problemi le aveva causato. Ieri il presidente ha firmato un nuovo ordine esecutivo volto a regolare l'ingresso di alcuni stranieri negli Stati Uniti. Le novità rispetto al precedente sono che l'Iraq è stato escluso dalla lista (che adesso comprende Siria, Iran, Yemen, Libia, Somalia e Sudan); che si rivolgerà alle nuove richieste di visto e non a chi possiede già un visto o una green card; che non prevede una corsia preferenziale per le minoranze linguistiche e religiose; che accomuna i siriani a tutti gli altri rifugiati, sospendendo per quattro mesi il programma di accoglienza; e infine che entrerà in vigore fra 10 giorni, il 16 marzo, e non immediatamente, probabilmente per evitare il ripetersi del caos e delle proteste negli aeroporti della volta scorsa. Quindi, a breve, i migranti proveniente da questi sei Paesi dovranno aspettare tre mesi prima di sapere se la loro richiesta di visto sia stata accettata o meno: <Non è un provvedimento contro i musulmani, ma vogliamo difendere il nostro Paese da possibili infiltrazioni terroristiche> dicono al Guardian voci ufficiali dalla Casa Bianca, che non ha tenuto una conferenza stampa per presentare il nuovo provvedimento. Nonostante i cambiamenti, la nuova versione non convince chi si è opposto alla precedente: <Resta la teoria che una persona viene considerata un 'potenziale terrorista' a seconda del Paese d'origine. È un'aberrazione> ha commentato la sezione statunitense di Human Rights Watch. Anche dal punto di vista legale sono molti i nodi da sciogliere: <L'aver rimosso la discriminante linguistica e religiosa è un passo importante. - ha commentato ad Associated Press Stephen Vladeck, ordinario di Diritto all'Università del Texas - Ma anche questo provvedimento colpisce Paesi a maggioranza musulmana, facendolo sembrare un bando su base religiose. Ci sarà ancora molto lavoro per le Corti> che già avevano bocciato e fatto decadere il primo bando di gennaio. L'unica voce che si è levata a favore della revisione è quella del governo iracheno, che tramite il Ministero degli Esteri ha espresso <profonda soddisfazione> per essere stato cancellato dalla lista dei cattivi, un <passo importante che - dice Baghdad - migliorerà i rapporti fra Iraq e Stati Uniti>. Chi invece sulla lista dei cattivi è stato messo di imperio è l'ex presidente Barack Obama. Accusato dal suo successore di averlo fatto intercettare e spiare con tanto di cimici all'interno della Trump Tower, Obama è stato difeso dall'insospettabile James Comey, direttore dell'Fbi. Ieri mattina Comey ha pubblicamente chiesto al Ministero della Giustizia di respingere le accuse verso l'ex presidente, data la <gravità delle accuse> e <l'inesistenza delle prove> a supporto di quello che Trump ha chiamato un <nuovo Watergate>. Se Obama si fosse servito degli agenti federali per mettere sotto controllo la Trump Tower, significherebbe che l'Fbi avrebbe infranto la legge. Per questo motivo Comey è entrato nella polemica più aspra che l'attuale inquilino della Casa Bianca ha rivolto al suo predecessore. Questo ha un doppio significato per Trump, visto che il direttore dell'Fbi è l'uomo che deve ringraziare di più per la vittoria alle elezioni. Fu Comey, da sempre vicino al partito dei Repubblicani, ad annunciare a poche settimane dal voto la riapertura delle indagini a carico di Hillary Clinton per il 'Mailgate', diventandone il killer politico. Quell'indagine fu archiviata senza praticamente cominciare e Comey è l'unico fra i suoi colleghi ad aver mantenuto la poltrona da direttore di un'agenzia di intelligence. Peccato che la luna di miele con Trump sembra già finita: <Le parole di Comey sono inaccettabili- ha dichiarato la portavoce della Casa Bianca Sarah Sanders - Noi chiediamo solo che il Congresso faccia il suo lavoro, indagando sull'attività di spionaggio organizzata da Obama>.