Come prevedibile, l'arrivo al Senato della legge Zan contro la transomofobia non è passato indenne. La Lega ha chiesto di soprassedere in nome di un vincolo di maggioranza che è in realtà inesistente, dal momento che quella che sostiene Draghi non è una maggioranza politica, la legge è di iniziativa parlamentare ed era chiaro sin dalla partenza del governo Draghi che i provvedimenti non strettamente inerenti alla Mission illustrata dal premier al momento dell'insediamento sarebbero stati di assoluta competenza parlamentare. Cioè che i parlamentari si sarebbero potuti muovere senza alcun vincolo di maggioranza. A quel punto il presidente leghista della commissione Giustizia è passato al filibustering, di fatto rifiutandosi di convocare l'Ufficio di presidenza per calendarizzare la legge e avviare così il percorso di approvazione definitiva. Come finirà è incerto. Alla fine la legge dovrà approdare in aula ma è probabile che qualche cambiamento la riporti poi alla Camera e nel complesso i tempi di approvazione non sembra possano essere celeri. Non è la prima volta che sul nodo delle aggravanti, come quelle per razzismo o antisemitismo, si assiste al medesimo fronteggiamento tra gli schieramenti parlamentari. In questo caso però il quadro è più frastagliato del solito perché è contraria alla legge, per motivi diversi da quelli leghisti o cattolici, anche gran parte del femminismo e della sinistra libertaria e la stessa commissione Affari costituzionali è intervenuta con indicazioni non del tutto rispettate dal legislatore. In parte la polemica è quella che spunta perennemente in questi casi: essendo i casi violenza, calunnia e incitazione a delinquere l'inserimento di aggravanti specifiche finisce inevitabilmente per ledere la libertà di espressione. In questo caso, però, il confine è più labile del solito, perché, come si evince dall'esempio dei Paesi anglo-sassoni e in particolare del Regno Unito, anche il solo dire che una trans è comunque diversa da una donna può essere visto come lesivo della dignità delle trans, dunque meritevole di licenziamento, come nel noto caso di Maya Forstater, suffragato dal tribunale in quanto una simile opinione, espressa con un tweet, «non è degna di rispetto in una società democratica». Diverse le critiche di una parte del femminismo, secondo cui il vessillo dell'identità di genere è «un'arma brandita contro le donne, il luogo in cui la realtà dei corpi, in particolare dei corpi femminili, viene fatta sparire», quello in cui anche «le quote destinate alle donne vengono occupate da uomini che si identificano come donne». La risposta di chi è favorevole alla legge è che si tratta invece solo di garantire una maggiore difesa a persone discriminate e a volte perseguitate per la loro identità di genere o per le loro scelte sessuali. Un'estensione delle leggi contro la discriminazione o persecuzione su base razziale, etnica o di appartenenza religiosa. C'è in questa replica, probabilmente, una certa dose di dissimulazione. I comportamenti violenti o lesivi o discriminatori possono infatti essere già sanzionati sulla base delle leggi esistenti, senza bisogno di ricorrere alle aggravanti. È probabile che l'inserimento di aggravanti elevi effettivamente il tasso di vigilanza ma sembra difficile giustificare solo così leggi come quella Zan, anche perché gli esempi dei Paesi dove il problema è all'odg già da anni indicano l'esistenza reale di una possibile minaccia alla libertà d'opinione. Il testo, del resto, modifica l'art. 604-bis del codice penale sostituendo alla formulazione «propaganda di idee e istigazione a delinquere» con la sola «propaganda di idee». Nel complesso la ratio inconfessata di questa legge, come di tutte quelle precedenti e affini sembra essere un tentativo intervenire non solo e non tanto sui comportamenti ma anche e soprattutto sulle mentalità. Una sorta di "pedagogia di massa" esercitata con gli strumenti della proibizione, della censura e della sanzione. L'obiettivo, insomma, è cambiare le idee e la mentalità delle persone, ed è un obiettivo al quale non ci si può neppure avvicinare colpendo i casi di violenza e discriminazione sulla base "indistinta" del un codice penale. È una posizione che potrebbe addurre argomentazioni a proprio favore ed essere criticata con motivazioni affilate. Ma sarebbe opportuno e utile evitare le semplificazioni che ne fanno una questione di destra e sinistra o, peggio, di omofobia e antirazzismo.